MISA DE CANONIZACIÓN DE LOS BEATOS - 26.04.2009
I
PROFILO BIOGRAFICO
DEI BEATI
ARCANGELO TADINI
Presbitero
Fondatore della Congregazione
Delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth
BERNARDO TOLOMEI
Abate
Fondatore della Congregazione
Di Santa Maria di Monte Oliveto
dell’Ordine di San Benedetto
NUNO DE SANTA MARIA ÁLVARES PEREIRA
Religioso
dell’Ordine dei Carmelitani
GELTRUDE COMENSOLI
Vergine
Fondatrice dell’Istituto delle Suore Sacramentine
CATERINA VOLPICELLI
Vergine
Fondattrice della Congregazione
Delle Ancelle del Sacro Cuore
MISA DE CANONIZACIÓN DE LOS BEATOS - 26.04.2009 - Parte II
MISA DE CANONIZACIÓN DE LOS BEATOS
Canonización Beato Nuño Alvares Pereira
ARCANGELO TADINI
ARCANGELO TADINI, sacerdote bresciano vissuto tra il 1846 e il
1912, è una figura limpida e affascinante. Uomo intraprendente,
prete autentico, ha intrecciato sapientemente rischio e fede, amore
per gli uomini e amore per Dio, austerità e tenerezza.
Nasce a Verolanuova (Brescia) il 12 ottobre 1846. Conclusi gli
studi elementari nel paese natale, frequenta il ginnasio a Lovere
(Bergamo).
Nel 1864 entra nel seminario di Brescia e nel 1870 è ordinato
sacerdote. Dal 1871 al 1873 è nominato vicario-cooperatore a Lodrino
(Brescia), piccolo paese di montagna, e dal 1873 cappellano
al santuario di Santa Maria della Noce, frazione di Brescia.
Nel 1885 inizia il suo servizio a Botticino Sera (Brescia) come
vicario-cooperatore; due anni dopo, è nominato Parroco e vi rimane
fino al 1912, anno della sua morte. All’inizio del suo mandato, dal
pulpito afferma con forza: «Starò con voi, vivrò con voi, morirò
con voi».
Gli anni vissuti a Botticino sono certamente i più fecondi della
vita di don Tadini. Egli ama i suoi parrocchiani come figli e non
si risparmia in nulla. Dà inizio alla Schola Cantorum, alla banda
musicale, a varie Confraternite, al Terz’Ordine Francescano, alle
Figlie di Santa Angela; ristruttura la chiesa, offre ad ogni categoria
di persone la catechesi più adatta, cura la liturgia. Ha una particolare
attenzione per la celebrazione dei Sacramenti. Prepara le omelie
tenendo presente da una parte la Parola di Dio e della Chiesa,
dall’altra il cammino spirituale della sua gente. Quando parla dal
pulpito, tutti rimangono stupiti per il calore e la forza che le sue
parole sprigionano.
La sua attenzione pastorale è rivolta soprattutto alle povertà del
difficile periodo della prima industrializzazione: egli avverte che la
Chiesa è chiamata in causa da chi soffre nelle fabbriche, nelle filande,
nelle campagne... Per i lavoratori dà inizio all’Associazione Operaia
di Mutuo Soccorso e, per le giovani del paese che maggiormente
vivono nell’incertezza e subiscono ingiustizie, costruisce una filanda
per dare loro un lavoro.
Nel 1900 il Tadini fonda la Congregazione delle Suore Operaie
della Santa Casa di Nazareth: donne consacrate ma « operaie con le
operaie» che educano le giovani lavoratrici non salendo in cattedra
ma lavorando gomito a gomito con loro, non tenendo grandi discorsi
madando l’esempio di guadagnarsi il pane con dignità e con il sudore
della propria fronte. Uno scandalo per quel tempo in cui si pensava
alle fabbriche come luoghi pericolosi, immorali e fuorvianti.
Il Tadini affida alle sue Suore l’esempio di Gesù, Maria e Giuseppe
che nella Casa di Nazareth, nel silenzio e nel nascondimento, hanno
lavorato e vissuto con umiltà e semplicità. Indica l’esempio di Gesù
che non solo «ha sacrificato se stesso sulla croce» ma per trent’anni,
a Nazareth, non si è vergognato di usare gli strumenti del carpentiere
e di «avere le mani incallite e la fronte bagnata di sudore».
Per questa sua intraprendenza il Tadini ottiene calunnie e
incomprensioni, anche da parte della Chiesa. In realtà egli precorre
i tempi: egli intuisce che la Suora, operaia tra le operaie, può dare
una comprensione più positiva del mondo del lavoro, visto non più
come luogo avverso alla Chiesa, ma ambiente bisognoso di fermento
evangelico, un mondo da incontrare più che da contrastare.
Egli stesso è consapevole che la sua Opera è anzitempo, ma è
fermamente convinto che non è opera sua ma di Dio: «Dio l’ha
voluta, la guida, la perfeziona, la porta al suo termine». La morte lo
coglie quando il sogno della sua vita è ancora incompiuto, ma come
seme affidato alla terra, a suo tempo, porterà frutti abbondanti.
I parrocchiani di Botticino intuiscono la santità del loro parroco
e imparano ben presto a conoscere e a scoprire, sotto la sua
riservatezza e austerità, il cuore di un padre attento e sensibile alla
loro vita di stenti e di duro lavoro. Alle sue doti naturali egli unisce
una grande capacità di entrare nella vita e nella quotidianità della
gente e ben presto si parla di lui come di un prete santo, un uomo
eccezionale... e, nel tempo, si dirà di lui «È uno di noi»!
Uno di noi quando, molto presto, percorre le vie del paese e il
suo passo risuona come sveglia per chi si prepara ad iniziare una
giornata di lavoro. Tutti sanno che quel sacerdote, innamorato di
Dio e dell’uomo, porterà nella preghiera la vita e le fatiche della
sua gente.
Uno di noi quando raccoglie le lacrime delle mamme preoccupate
per la precarietà del lavoro dei figli, quando sogna, progetta
e costruisce la filanda per le ragazze del paese, perché possano
riscoprire la loro dignità di donne.
Uno di noi quando inventa la famiglia delle Suore Operaie, donne
consacrate che, nei luoghi di lavoro, siano testimoni di un Amore
grande nella semplice quotidianità della vita.
Uno di noi perché ancora ci sorride, ci accompagna nella nostra
quotidianità e con le sue parole ci invita a seguire le sue orme: «La
santità che guida al cielo è nelle nostre mani. Se vogliamo
possederla, una cosa sola dobbiamo fare: amare Dio».
Con la Canonizzazione il Papa Benedetto XVI lo offre come
esempio ai sacerdoti, lo indica come intercessore alle famiglie, lo
dona come protettore ai lavoratori.
ARCANGELOTADINI
Abbé ARCANGELOTADINI, prêtre du Diocèse de Brescia, vécut entre
1846 et 1912. C’ est une figure fascinante et limpide. Homme
entreprenant et prêtre authentique, il a su nouer avec sagesse le
risque et la foi, l’amour pour les hommes et l’amour pour Dieu,
l’austérité et la tendresse.
Arcangelo Tadini est né à Verolanuova (Brescia-Italie), le 12
octobre 1846. Terminé ses études primaires dans son village natal, il
fréquente le Gymnase à Lovere (Bergame).
En 1864, il entre au Grand Séminaire de Brescia et fut ordonné
prêtre en 1870. De 1871 à 1873, il est nommé vicaire à Lodrino
(Brescia), un petit village de montagne et dès 1873, il est Recteur
au sanctuaire de Sainte Marie de la Noce, une petite fraction de
Brescia.
Il commence son service comme vicaire à Botticino Sera (Brescia)
en 1885, et deux ans après, il est nommé Curé de cette Paroisse
et y reste jusqu’en 1912, année de sa mort. Au début de son mandat,
de la chair de sa prédication, il affirme avec force: «Je serai avec
vous, je vivrai avec vous, je mourrai avec vous».
Les années vécues à Botticino sont certainement les plus fécondes
de la vie de l’Abbé Tadini. Il aime les Paroissiens comme ses fils et il
ne se réserve en rien. Il donne naissance à la Chorale, à la bande
musicale, à de diverses Confréries, au Tiers Ordre franciscain, aux
Filles de Sainte Angèle Merici; il restaure l’Eglise, offre à chaque
catégorie de personnes la catéchèse la plus adaptée et soigne la
liturgie. Il porte une attention particulière à la célébration des
Sacrements. Il prépare les homélies tenant présent d’un côté, la
Parole de Dieu et de l’Eglise, de l’autre, le cheminement spirituel de
ses paroissiens. Quand il parle de sa chaire, tous restent émerveillés
par la chaleur et la force que ses paroles dégagent.
Son attention pastorale est orientée surtout vers les nouvelles
pauvretés: pour les travailleurs, il donne naissance à l’Association
Ouvrière du Secours Mutuel et construit une filature pour donner du
travail aux jeunes du village qui, particulièrement, vivent dans
l’incertitude et subissent des injustices. En 1900, Tadini fonde la
Congrégation des Soeurs Ouvrières de la Sainte Maison de Nazareth:
femmes consacrées, « ouvrières avec les ouvrières» qui éduquent les
jeunes travailleuses, en travaillant coude à coude avec elles sans tenir
de grands discours mais donnant l’exemple de gagner le pain par la
sueur de leur front; un scandale pour ce temps-là qui considérait les
usines comme des lieux dangereux et de perdition.
Le fondateur propose aux Soeurs l’exemple de Jésus, Marie et
Joseph qui, dans la Maison de Nazareth, ont travaillé et vécu dans le
silence et la vie cachée avec humilité et simplicité.
Il indique l’exemple de Jésus qui, non seulement, «s’est sacrifié
sur la croix» mais qui, pour trente ans à Nazareth, n’a pas eu honte
d’employer les outils de charpentier et d’«avoir le front trempé par
la sueur de la fatigue et les mains rendues calleuses par le travail».
Pour cet esprit entreprenant, Tadini subit des calomnies et de
incompréhensions,même de la part de l’Eglise. En réalité, il devance
les temps: il devine que la Soeur, ouvrière parmi les ouvriers, indique
une compréhension très positive du monde du travail vu, non plus
comme un lieu contraire à l’Eglise, mais un milieu qui a besoin d’un
ferment évangélique, un monde plus à rencontrer qu’à contester.
Il est lui-même conscient que son oeuvre est née avant le temps,
mais il est fermement convaincu que cette fondation n’est pas son
oeuvre propre mais celle de Dieu: «Dieu, qui l’a voulue, la guide, la
perfectionne, la conduit à son terme». La mort le prend quand le rêve
de sa vie n’est pas encore accompli, mais comme un grain enfoui
dans la terre, au temps voulu, il portera beaucoup de fruits.
Les paroissiens de Botticino perçoivent la sainteté de leur curé et
très tôt, ils apprennent à connaître et à découvrir, caché sous sa
discrétion et son austérité, le coeur d’un père attentif et sensible à leur
vie de misère et de travail dur. A ses dons naturels, il unit une grande
capacité d’entrer dans la vie et dans la quotidienneté des gens et bien
vite, on parle de lui comme d’un prêtre saint, un homme exceptionnel...
et, plus tard, on dira de lui «il est un de nous»!
Un de nous quand, très tôt, il parcourt les rues du village et son
pas résonne comme un réveil pour qui se prépare à commencer une
journée de travail. Tous savent que ce prêtre, passionné de Dieu et de
l’homme, portera dans sa prière la vie et les fatigues de ses gens.
Un de nous quand il recueille les larmes des mères préoccupées
par la précarieté du travail de leurs fils, quand il rêve, projette et
construit la filature pour les filles du village pour qu’elles puissent
redécouvrir leur dignité de femmes.
Un de nous quand il fonde la Famille des Soeurs Ouvrières,
femmes consacrées qui, dans les champs de travail, sont témoins
d’un Amour grand dans la simple vie ordinaire.
Un de nous car il nous sourit encore, nous accompagne dans
notre vie quotidienne et avec ses paroles, il nous invite à suivre ses
traces: «La sainteté qui conduit au ciel est dans nos mains. Si nous
voulons la posséder, nous devons faire une seule chose: aimer
Dieu».
Avec la Canonisation, Sa Sainteté Benoît XVI offre l’Abbé Tadini
comme exemple aux prêtres, aux familles, il l’indique comme
intercesseur, et aux travailleurs, il le leur donne comme protecteur.
ARCANGELO TADINI
ARCANGELO TADINI, sacerdote do interior de Brescia (Itália) que
viveu de 1846 a 1912, é figura cristalina e fascinante. Homem de
iniciativa, sacerdote autêntico, soube entrelaçar ousadia e fé, amor
pelos homens e amor a Deus, austeridade e ternura.
Nasce em Verolanuova (Brescia) a 12 de outubro de 1846.
Terminados os estudos primários na cidade natal, frequenta o
ginásio em Lovere (Bergamo).
Em 1864 entra no Seminário Diocesano de Brescia e em 1870 é
ordenado sacerdote. De 1871 a 1873 é nomeado vigário paroquial
em Lodrino (Brescia), pequeno vilarejo de montanha, e a partir de
1873 é capelão no Santuário de S. Maria della Noce, periferia de
Brescia.
Em 1885 inicia seu serviço em Botticino Sera (Brescia) como
vigário; dois anos depois é nomeado pároco, aí permanecendo até
1912, ano de sua morte. No dia da posse afirma com força do púlpito:
«Estarei com vocês, viverei com vocês, morrerei com vocês».
Os anos vividos em Botticino são os mais fecundos da vida do
Tadini. Ele ama os seus paroquianos como filhos e a eles se doa sem
medida. Dá inicio ao coral, à banda musical, a várias Confrarias, à
Terceira Ordem Franciscana, às Filhas de S. Ângela Merici; reforma
a igreja, oferece a cada categoria de pessoas a catequese mais
apropriada, cuida da liturgia. Põe especial atenção na celebração dos
Sacramentos. Prepara as homilias levando em consideração tanto a
Palavra de Deus e da Igreja como a caminhada espiritual do seu
povo. Quando fala do púlpito, todos ficam encantados pelo calor e a
força que suas palavras transmitem.
Sua atenção pastoral dirige-se sobretudo às novas pobrezas: para
os trabalhadores dá início à Associação Operária de Mútuo Socorro
e constrói uma fiação (fábrica têxtil) para dar trabalho às jovens da
cidade que mais sofrem com a insegurança e a exploração.
Em 1900 o Tadini funda a Congregação das Irmãs Operárias da
Santa Casa de Nazaré: mulheres consagradas, mas «operárias com
as operárias» que educam as jovens trabalhadoras não subindo em
cátedra, mas trabalhando lado a lado com elas; não proferindo
grandes discursos, mas dando o exemplo de ganhar o pão com o suor
do próprio rosto. Escândalo para aquela época na qual as fábricas
eram tidas por lugares perigosos e desviantes.
Tadini oferece a suas Irmãs o exemplo de Jesus, Maria e José que
na Casa de Nazaré, no silêncio e escondimento, trabalharam e
viveram com humildade e simplicidade. Aponta o exemplo de Jesus
que não só «sacrificou a si mesmo na cruz» mas durante trinta anos,
em Nazaré, não se envergonhou de usar as ferramentas de carpinteiro
e de «ter as mãos calejadas e o rosto lavado de suor».
Por este seu espírito empreendedor, Tadini ganha calúnias e
incompreensões, também por parte da Igreja. Na realidade ele
precorre os tempos: intui que a Irmã, operária entre as operárias,
indica uma compreensão mais positiva do mundo do trabalho, não
mais visto como lugar contrário à Igreja, mas sim ambiente
necessitado de fermento evangélico, um mundo a ser encontrado
mais que contrastado.
Ele mesmo tem consciência de que a sua Obra nasceu antes do
tempo, mas está firmemente convicto que não é obra dele mas de
Deus: «Deus a quis, a orienta, a aperfeiçoa, a conduz a bom termo».
A morte o colhe quando o sonho de sua vida ainda não se completou,
mas, como semente jogada na terra, no tempo certo produzirá frutos
abundantes.
Os Paroquianos de Botticino intuem a santidade de seu pároco e
logo aprendem a conhecer e a descobrir que, debaixo de sua
discrição e austeridade, existe um coração de pai atento e sensível à
vida do povo feita de sacrifícios e duro trabalho. Às seus dotes
naturais ele une grande capacidade de entrar na vida e no cotidiano
das pessoas e em breve se fala dele come de um sacerdote santo, um
homem extraordinário... Mais tarde se dirá dele: «É um de nós»!
Um de nós quando, cedo pela manhã, percorre as ruas da cidade
e o seu passo ressoacomo despertador a quemse prepara para iniciar
um novo dia de trabalho. Todos sabem que aquele sacerdote,
apaixonado por Deus e pela humanidade, levará na oração a vida e
as fadigas do seu povo.
Um de nós quando recolhe as lágrimas das mães preocupadas
com a precariedade do trabalho dos filhos; quando sonha, projeta e
constrói a fiação para as jovens da cidade a fim de que possam
redescobrir sua dignidade de mulheres.
Um de nós quando inventa a família das Irmãs Operárias,
mulheres consagradas que, nos lugares de trabalho, sejam testemunhas
de um Amor maior no simples cotidiano da vida.
Um de nós porque ainda nos sorri, nos acompanha no nosso dia
a dia e com suas palavras nos convida a seguir seus passos: «A
santidade que nos leva ao céu está em nossas mãos. Se queremos
possuí-la, uma coisa apenas precisamos fazer: amar a Deus».
Com a Canonização o Papa Bento XVI o oferece como exemplo
para os sacerdotes, o aponta como intercessor para as famílias, o
entrega como protetor aos trabalhadores.

BERNARDOTOLOMEI
BERNARDOTOLOMEI nacque a Siena il 10 maggio 1272. Ricevette al
battesimo il nome di Giovanni. Fu educato dai Frati Predicatori, nel
Collegio di San Domenico di Camporeggio, in Siena; fu promosso
cavaliere (miles) dall’imperatore Rodolfo I d’Asburgo (1291). Studiò
materie giuridiche nella sua città di origine, dove fece anche parte
della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Notte, attivi
nell’ospedale della Scala al servizio dei ricoverati. Una progressiva
quasi totale cecità provocò la rinuncia ad una carriera pubblica.
In un’epoca di lotte fra le fazioni cittadine, per realizzare in modo
più assoluto il proprio ideale cristiano ed ascetico, nel 1313, ormai
quarantenne, insieme a due concittadini impegnati nella mercatura
e nel commercio (il Beato Patrizio Patrizi † 1347 e il Beato Ambrogio
Piccolomini † 1338), nobili senesi anch’essi appartenenti alla predetta
Confraternita, allontanandosi da Siena, si ritirò nella solitudine
di Accona, a circa 30 km. a sud-est della città. In quella regione
Giovanni (che nel frattempo aveva assunto il nome di Bernardo, per
venerazione nei confronti del santo abate cistercense), insieme con i
suoi compagni condusse vita eremitica in alcune grotte scavate nel
tufo. La vita penitente di questi laici eremiti era caratterizzata dalla
preghiera, dalla lectio divina, dal lavoro manuale e dal silenzio. Altri
compagni venuti da Siena, da Firenze e dalle regioni circostanti, si
unirono presto a loro; il loro modello era la forma di vita degli
Apostoli e dei primi monaci della Tebaide.
Verso la fine del 1318 o all’inizio del 1319, mentre un giorno era
immerso nella preghiera, egli ebbe la percezione oculare di una scala
sulla quale vide salire, aiutato dagli angeli, monaci vestiti di bianco,
attesi da Gesù e Maria. Questa reminiscenza biblica costituisce un
tema noto nella tradizione monastica, ma il cronista olivetano
Antonio da Barga (nel 1450 ca.) assicura che Bernardo chiamò gli
altri fratelli ed essi pure videro il segno della volontà divina nei loro
riguardi, nella visione della «scala di Giacobbe». Non erano sacerdoti,
tuttavia, in base alla testimonianza di Antonio da Barga,
«essi facevano celebrare i divini misteri da presbiteri devoti da loro
conosciuti».
Il Cardinale Bertrando di Poyet, legato di Giovanni XXII allora
residente in Avignone, venne a controllare l’osservanza del gruppo
(tra il 1316 e il 1319). In ottemperanza alla Costituzione 13 del IV
Concilio Lateranense (1315) che proibiva la fondazione di nuovi
Ordini religiosi fino ad allora non approvati, per consolidare la
posizione giuridica del nuovo gruppo, Bernardo, con Patrizio Patrizi,
si recò dal Vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala, nella cui
giurisdizione si trovava in quel tempo Accona. Ne ottenne un decreto
di erezione per il futuro monastero di Santa Maria di Monte Oliveto,
da istituire «sub regula sancti Benedicti» (26 marzo 1319), con
alcuni privilegi ed esenzioni; il Vescovo accolse, tramite un legato
(il presbitero Restauro, affiliato alla Confraternita dei Fustigati
presso la chiesa della Santissima Trinità in Arezzo), la loro professione
monastica. Scegliendo la Regola di San Benedetto, Bernardo
dovette temperare la primitiva scelta eremitica, con l’adozione
del cenobitismo benedettino; per il desiderio di onorare la Madonna,
i fondatori indossarono un abito bianco: questa devozione mariana
rimase in eredità alla spiritualità della Congregazione.
Il 1° aprile 1319 nacque dunque il monastero di Santa Maria di
Monte Oliveto Maggiore, con la posa della prima pietra della chiesa,
evento registrato da regolare documento steso dal notaio senese
Giovanni del fu Ventura: il deserto di Accona era diventato «Monte
Oliveto», a ricordo del Monte degli Ulivi, su cui il Signore amava
ritirarsi con i suoi discepoli e dove pregò prima della sua passione, e
sito tradizionale dell’Ascensione. Gli eremiti divennero monaci
secondo lo spirito della Regola di San Benedetto, pur con alcuni
mutamenti istituzionali, in un’epoca di relativa decadenza dell’Ordine
monastico. L’elemento più caratteristico dell’evoluzione
istituzionale fu la temporaneità della carica di abate: all’abate che
doveva durare per sempre (semel abbas, semper abbas), il Capitolo
Generale deliberò che il governo dell’abate dovesse durare solo un
anno; inoltre l’eletto doveva essere confermato dal Vescovo di
Arezzo (documento del Vescovo, 28 marzo 1324). Quando fu
necessario eleggere un abate, Bernardo riuscì ad allontanare da sé la
scelta dei monaci a causa della propria infermità visiva; pertanto fu
eletto Patrizio Patrizi il 1° settembre 1319. Per altre due volte una
scelta analoga fu ripetuta con l’elezione di Ambrogio Piccolomini, il
1° settembre 1320, e il 1° settembre 1321 con quella di Simone di Tura,
da Siena († 1348). Il 1° settembre 1322, Bernardo non poté opporsi al
desiderio dei suoi confratelli e divenne abate del monastero di cui era
fondatore, funzione di governo che ricoprì fino alla morte. Un atto
del 24 dicembre 1326 attesta che il Cardinale Giovanni Caetani Orsini
(† 1339), legato della Sede Apostolica, dispensò dal difetto visivo
l’abate Bernardo, eletto nel 1322 a succedere a Simone di Tura.
Da Avignone, Clemente VI approvò la Congregazione allora
formata da 10 monasteri, con due bolle (Vacantibus sub religionis:
approvazione formale e canonica del nuovo Istituto; Sollicitudinis
pastoralis officium: facoltà di erigere nuovi monasteri in Italia) del
21 gennaio 1344; per quella necessità, Bernardo non si era recato
personalmente in Avignone, ma vi aveva inviato i monaci Simone
Tendi e Michele Tani. Le direttive pontificie, emanate dalla bolla
Summi magistri (20 giugno 1336) dal Papa cistercense Benedetto
XII, per riformare i monasteri benedettini, furono pienamente
recepite dai Capitoli Generali olivetani.
Una prova significativa della eccezionale personalità spirituale di
Bernardo consiste nel fatto che i monaci, pur avendo stabilito di non
rieleggere l’abate al termine del suo mandato annuale, misero da
parte tale disposizione, e per ventisette anni consecutivi fino alla
morte, lo vollero nell’ufficio abbaziale, rieleggendolo alla scadenza di
ogni anno: anzi, un atto estremo di fiducia nella paternità abbaziale
si ebbe nel Capitolo Generale del 4 maggio 1347, quando i monaci gli
concessero ampia facoltà di disporre di tutto senza dover previamente
consultare il Capitolo e i fratelli, confidando nella sua
santità che avrebbe disposto tutto in conformità alla volontà di Dio e
per la salvezza di tutti. Ormai il cenobio di Santa Maria di Monte
Oliveto era diventato il centro di una Congregazione monastica guidata
da un solo abate, mentre i singoli monasteri stavano sotto
l’autorità di un priore. Bernardo tentò almeno due volte di lasciare
l’ufficio abbaziale, nel 1326 e nel 1342, dichiarando al legato
pontificio e ad esperti di diritto (Giovanni di Andrea e Arnoldo da
Siena, poi Paolo de Hazariis, Andrea de Guarnariis e l’Arcivescovo di
Pisa, Dino da Radicofani) di non essere sacerdote per aver ricevuto
soltanto gli Ordini minori, e adducendo inoltre l’avvenuta dispensa
—per svolgere la funzione abbaziale—motivata da una persistente
infermità visiva; ma il suo governo fu dichiarato pienamente
legittimo anche secondo le norme canoniche di allora. Il suo
misticismo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il
Crocifisso e da apparizioni di Santi (per esempio San Michele).
Durante il suo abbaziato molti accorsero nel nuovo monastero da
varie città. Il numero crescente dei monaci permise di accogliere le
richieste di vescovi e di laici che volevano questi monaci bianchi nelle
loro città e contadi, per cui Bernardo poté fondare altri dieci
monasteri, strettamente legati all’abbazia principale, della quale
ripetevano il nome, e retti da un priore. Per assicurare l’avvenire alla
sua opera, Bernardo ottenne dal Papa Clemente VI, il 21 gennaio
1344, l’approvazione pontificia di una nuova Congregazione benedettina,
detta «Santa Maria di Monte Oliveto». In questo modo,
Bernardo è l’iniziatore di un movimento monastico benedettino.
Bernardo lasciò ai suoi monaci un esempio di vita santa, di pratica
delle virtù in grado eroico e un’esistenza dedita al servizio degli altri
e alla contemplazione. Durante la Grande Peste del 1348, Bernardo
lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di
San Benedetto a Porta Tufi, in Siena. Qui, assistendo i suoi concittadini
e i monaci colpiti dall’infezione altamente contagiosa, morì
egli stesso vittima della peste, con 82 monaci, in una data che la
tradizione fissò al 20 agosto 1348. Questo eroe di penitenza e martire
di carità non passò inosservato, come constatò Pio XII in una Lettera
inviata all’Abate Generale D. Romualdo M. Zilianti l’11 aprile 1948,
in occasione dell’imminente sesto centenario della morte del Beato.
Da giovane, Bernardo aveva servito gli infermi in un ospedale di
Siena; da anziano, a 76 anni, aiutò gli appestati senza temere un
contagio che si rivelò fatale: una tale generosità non si improvvisa. Il
venerato abate fu sepolto nelle vicinanze della chiesa del monastero
senese. Tutti i cadaveri degli appestati furono deposti in fosse
comuni, nella calce viva, fuori della chiesa; gli scavi successivi non
hanno consentito di identificare le reliquie di Bernardo.
Di Bernardo rimangono frammenti di 48 lettere e una omelia. Le
lettere emanano la fragranza di una sapienza letteraria e spirituale,
rivelano il suo temperamento e lo definiscono implicitamente un
uomo che della regola di San Benedetto si era fatto seguace sincero;
consentono di percepire la sua umiltà, la sua sensibilità, il suo spirito
ecclesiale e comunitario, e di valutare la sua conoscenza della Sacra
Scrittura.
Della sua devozione mariana sono segno la dedicazione alla
Natività di Maria Vergine della chiesa di Monte Oliveto Maggiore e
l’abito bianco.
Le soppressioni degli Ordini religiosi, nella Repubblica veneta nel
1771, poi nel Granducato di Toscana e nel regno di Napoli, e in
seguito nella nuova Repubblica cisalpina nel 1808 e nel Regno d’Italia
(periodo napoleonico, 1797-1814), e altrove nel secolo XIX, non
consentirono di condurre a termine il Processo di canonizzazione. La
restaurazione della Congregazione olivetana, dalla seconda metà del
secolo XIX, culminò in un nuovo sviluppo e nella ripresa della Causa
nel secolo XX.
BERNARDO TOLOMEI
BERNARDO TOLOMEI, son of Mino Tolomei, was born in Siena on
the 10th of May 1272. At his baptism he was given the name Giovanni.
He was probably educated by the Dominicans at their College of San
Domenico di Camporegio in Siena. He was knighted by Rodolfo I
d’Absburgo († 1291). While studying law in his home town, he was
also a member of the Confraternity of the Disciplinati di Santa Maria
della Notte dedicated to aiding the sick at the hospital della Scala.
Due to a progressive and almost total blindness, he was forced to give
up his public career. In 1313, in order to realize a more radical
Christian and ascetic ideal, together with two companions (Patrizio
di Francesco Patrizi † 1347 and Ambrogio di Nino Piccolomini † 1338)
both noble Sienese merchants and members of the same Confraternity,
he retired to Accona on a property belonging to his family,
about 30 km south-east of the city. It was here that Giovanni, who in
the mean time had taken the name Bernardo out of veneration for
the holy Cistercian abbot, together with his two companions, lived a
hermitic penitential life characterised by prayer, manual work and
silence.
Towards the end of 1318, or the beginning of 1319, while deep in
prayer, he saw a ladder on which monks in white habits ascended,
helped by angels, and awaited by Jesus and Mary.
In order to secure the legal position of his group, Bernardo,
together with Patrizio Patrizi, visited the bishop of Arezzo, Guido
Tarlati di Pietramala (1306-C1327) under whose jurisdiction Accona
fell at the time. On the 26th March 1319 he was given a
Decree authorising him to build the future monastery of Santa
Maria di Monte Oliveto, and instituted “sub regula sancti Benedicti”,
with certain privileges and exemptions. Through his legate, the
bishop received their monastic profession. In choosing the Rule of
St Benedict, Bernardo accepted Benedictine coenobitism and,
wishing to honour Our Lady, the founders wore a white habit.
Welcoming the small group of monks, the bishop said: “Since your
fellow citizens glory in placing themselves under the patronage
of the Virgin, and because of the virginal purity of the glorious
Mother, it pleases you to wear a white monastic habit, therefore
showing outwardly that purity which you harbour within” (Antonio
di Barga, Cronaca 5). The white habit characterised various
forms of medieval monasticism, amongst which the Camaldolese,
Carthusians, Cistercians and the monks of Montevergine.
With the laying of the first stone of the church on the 1st of
April 1319, the monastery of Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore
was born. The hermits became monks according to the Rule of
St Benedict to which they made some institutional changes. The
most characteristic element of this institutional change recorded in
an episcopal document 28th March 1324, was the temporariness of
the abbatial office, and the abbot-elect would have to be confirmed
by the bishop of Arezzo. When the time came to elect an abbot,
Bernardo succeeded in withdrawing himself from those eligible
because of his infirmity of sight. Therefore, Patrizio Patrizi was
elected first abbot (1st of September 1319). Two other abbots
followed: Ambrogio Piccolomini (1st of September 1320) and Simone
di Tura (1st of September 1321). On the 1st of September 1322,
Bernardo could no longer oppose the wishes of his brethren and so
became the fourth abbot of the Monastery he founded, remaining
abbot until his death. An Act dated 24st September 1326 attests that
the Apostolic Legate, Cardinal Giovanni Caetani Orsini († 1339),
dispensed abbot Bernardo from the Canonical impediment of
Infirmity of Sight, hence validating his election. From Avignone,
with three Bulls dated 21st January 1344 (Significant Vestrae
Sanctitati: acknowledges the foundation and requests pontifical
privileges; Vacantibus sub religionis: canonical approval of the new
community; Solicitudinis pastoralis officium: the faculty to erect
new monasteries in Italy) Clemente VI approved the Congregation
which numbered ten monasteries. Bernardo did not go to Avignone
himself, but sent two monks: Simone Tendi and Michele Tani.
Significant evidence of the spiritual personality of Bernardo
consists in the fact that, even though the monks had decided not to
re-elect an abbot at the end of his annual mandate, they decided to
ignore this, re-electing Bernardo for twenty-seven consecutive years,
until his death. Another act of trust in Bernardo’s paternity was seen
in the General Chapter of the 4th of May 1347 when the monks
granted him the faculty to govern without recourse to the Chapter
and the brethren, trusting that he would do all in conformity to God’s
Will and for the salvation of all.
Bernardo tried at least twice, in 1326 and 1342, to lay down the
abbatial office, declaring to the Pope’s Legate and Jurists that he was
not a priest but only in Minor Orders, also citing the existing
dispensation from his function as abbot because of his persistent
infirmity of vision. However his leadership was asserted fully
legitimate even according to the canonical norms of the time. With
the Pontifical Approbation of a new Benedictine Congregation
named “Santa Maria di Monte Oliveto”, Bernardo is the initiator of a
resolute Benedictine monastic movement.
Bernardo left his monks an example of a holy life, the practice of
the virtues to a heroic level, an existence dedicated to the service of
others, and to contemplation. During the Plague of 1348 Bernardo
left the solitude of Monte Oliveto for the monastery of San Benedetto
a Porta Tufi in Siena. In the city, the disease was particularly dire. On
the 20th August 1348, while helping his plague-stricken monks, he
himself, along with 82 monks, fell victim of the Plague.
This hero of penance and martyr of charity did not go by
unnoticed, as Pius XII observed in a letter sent to Abbot GeneralDom
Romualdo M. Zilianti on the 11th April 1948, to commemorate the
forthcoming sixth centenary of the death of Blessed Bernardo. The
venerable abbot was buried near the monastery church in Siena. All
the plague-stricken bodies were put in a common pit of quick-lime
outside the church. Unfortunately the search for the bodies of the
victims of the plague, both in Siena and in and around the Abbey of
Monte Oliveto Maggiore, has been unsuccessful to this day.

NUNO ÁLVARES PEREIRA
NUNO ÁLVARES PEREIRA nasceu em Portugal a 24 de Junho de 1360,
muito provavelmente em Cernache do Bonjardim, sendo filho
ilegítimo de fr. Álvaro Gonçalves Pereira, cavaleiro dos Hospitalários
de S. João de Jerusalém e Prior do Crato, e de D. Iria Gonçalves do
Carvalhal. Cerca de um ano após o seu nascimento o menino foi
legitimado por decreto real, podendo assim receber a educação
cavalheiresca típica dos filhos das famílias nobres do seu tempo. Aos
treze anos entra como pajem da rainha D. Leonor, tendo sido bem
recebido na Corte e acabando por ser criado pouco depois cavaleiro.
Aos dezasseis anos casa-se, por vontade de seu pai, com uma jovem
e rica viúva, D. Leonor de Alvim. Da sua união nascem três filhos,
dois do sexo masculino, que morrem em tenra idade, e uma do
sexo feminino, Beatriz, a qual mais tarde viria a desposar o filho do
rei D. João I, D. Afonso, primeiro duque de Bragança.
Quando o rei D. Fernando I morreu a 22 de Outubro de 1383 sem
ter deixado filhos varões, o seu irmão D. João, Mestre de Avis, viu-se
envolvido na luta pela coroa lusitana, que lhe era disputada pelo rei
de Castela por ter desposado a, filha do falecido rei. Nuno tomou o
partido de D. João, o qual o nomeou Condestável, isto é, Comandante
supremo do exército. Nuno conduziu o exército português
repetidas vezes à vitória, até se ter consagrado na batalha de
Aljubarrota (14 de Agosto de 1385), a qual acaba por determinar à
resolução do conflito.
Os dotes militares de Nuno eram no entanto acompanhados por
umaespiritualidade sincera e profunda.Oamor pela eucaristia e pela
Virgem Maria são a trave-mestra da sua vida interior. Assíduo à
oração mariana, jejuava em honra da Virgem Maria às quartasfeiras,
às sextas, aos sábados e nas vigílias das suas festas. Assistia
diariamente à missa, embora só pudesse receber a eucaristia por
ocasião das maiores solenidades. O estandarte que elegeu como
insígnia pessoal traz as imagens do Crucificado, de Maria e dos
cavaleiros S. Tiago e S. Jorge. Fez ainda construir às suas próprias
custas numerosas igrejas e mosteiros, entre os quais se contam o
Carmo de Lisboa e a Igreja de S. Maria da Vitória, na Batalha.
Com a morte da esposa, em 1387, Nuno recusa contrair novas
núpcias, tornando-se um modelo de pureza de vida. Quando
finalmente se alcançou a paz, distribui grande parte dos seus bens
entre os seus companheiros, antigos combatentes, e acabo por se
desfazer totalmente daqueles em 1423, quando decide entrar no
convento carmelita por ele fundado, tomando então o nome de frei
Nuno de Santa Maria. Impelido pelo Amor, abandona as armas e o
poder para revestir-se da armadura do Espírito recomendada pela
Regra do Carmo: era a opção por uma mudança radical de vida em
que sela o percurso da fé autêntica que sempre o tinha norteado.
Embora tivesse preferido retirar-se para uma longínqua comunidade
de Portugal, o filho do rei, D. Duarte, de tal o impediu. Mas foi muito
difícil proibir-lhe que se dedicasse a pedir esmola em favor do
convento e sobretudo dos pobres, os quais continuou sempre a
assistir e a servir. Em seu favor organiza a distribuição quotidiana de
alimentos, nunca voltando as costas a um pedido. O Condestável do
rei de Portugal, o Comandante supremo do exército e seu guia
vitorioso, o fundador e benfeitor da comunidade carmelita, ao entrar
no convento recusa todos os privilégios e assume como própria a
condição mais humilde, a de ”frade donato”, dedicando-se totalmente
ao serviço do Senhor, de Maria—a sua terna Padroeira que
sempre venerou —, e dos pobres, nos quais reconhece o rosto de
Jesus.
Significativo foi o dia da morte de frei Nuno de Santa Maria, o
domingo de Páscoa, 1 de Abril de 1431, passando imediatamente a
ser reputado de “santo” pelo povo, que desde então o começa a
chamar «Santo Condestável».
Mas, embora a fama de santidade de Nuno se mantenha
constante, chegando mesmo a aumentar, ao longo dos tempos, o
percurso do processo de canonização será bem mais acidentado.
Promovido desde logo pelos soberanos portugueses e prosseguido
pela Ordem do Carmo, depara com numerosos obstáculos, de
natureza exterior. É apenas em 1894 que o P. Anastasio Ronci, então
postulador geral dos Carmelitas, consegue introduzir o processo
para o reconhecimento do culto do Beato Nuno «desde tempos
imemoriais», acabando este por ser felizmente concluído, apesar das
dificuldades próprias do tempo em que decorre, no dia 23 de
Dezembro de 1918 com o decreto Clementissimus Deus do Papa
Bento XV.
As suas relíquias foram trasladadas numerosas vezes do sepulcro
original para a Igreja do Carmo, até que, em 1961, por ocasião do
sexto centenário do nascimento do Beato Nuno, se organizou uma
peregrinação do precioso relicário de prata que as continha; mas
pouco tempo depois é roubado, nunca mais tendo sido encontradas
as relíquias que contivera, tendo sido depostos, em vez delas, alguns
ossos que tinham sido conservados noutro lugar. A descoberta em
1966 do lugar do túmulo primitivo contendo alguns fragmentos de
ossos compatíveiscom as relíquias conhecidas reacendeu o desejo de
ver o Beato Nuno proclamado em breve Santo da Igreja.
O Postulador Geral da Ordem, P. Felipe M. Amenós y Bonet,
conseguiu que fosse reaberta a causa, que entretanto era corroborada
graças a um possível milagre ocorrido em 2000. Tendo sido
levadas a cabo as respectivas investigações, o Santo Padre, Papa
Bento XVI, dispõe a 3 de Julho de 2008 a promulgação do decreto
sobre o milagre em ordem à canonização e durante o Consistório de
21 de Fevereiro de 2009 determina que o Beato Nuno seja inscrito no
álbum dos Santos no dia 26 de Abril de 2009.
NUNO ÁLVARES PEREIRA
NUNO ÁLVARES PEREIRA nacque in Portogallo il 24 giugno 1360,
molto probabilmente a Cernache do Bonjardim, figlio illegittimo di
fra’ Álvaro Gonçalves Pereira, cavaliere degli Ospedalieri di San
Giovanni di Gerusalemme e priore di Crato, e di donna Iria
Gonçalves do Carvalhal. Circa un anno dopo la nascita, il bambino fu
legittimato per decreto reale e poté ricevere l’educazione cavalleresca
tipica dei rampolli delle famiglie nobili del tempo. A tredici
anni divenne paggio della regina Leonor, fu accolto a corte e ben
presto fu creato cavaliere. A sedici anni, per volere del padre, sposò
una giovane ricca vedova, donna Leonor de Alvim. Dalla loro unione
nacquero tre figli, due maschi, morti in tenera età, e una bambina,
Beatriz, che avrebbe poi sposato il figlio del re João I, Afonso primo
duca di Bragança.
Quando morì il re Fernando, morto senza eredi maschi il 22
ottobre 1383, suo fratello, João, si trovò impegnato nella contesa per
la corona lusitana, che gli veniva contestata dal re di Castiglia, il quale
aveva sposato la figlia del defunto re. Nuno si schierò dalla parte di
João, il quale lo volle come suo connestabile, cioè comandante in
capo dell’esercito. Nuno condusse così l’esercito portoghese alla
vittoria in varie occasioni fino alla battaglia di Aljubarrota (14 agosto
1385), che avviò il conflitto verso la fine.
Le capacità militari di Nuno, però, erano temperate da una
spiritualità sincera e profonda, L’amore per l’Eucaristia e per la
Vergine costituivano i cardini della sua vita interiore. Assiduo nella
preghiera mariana, digiunava in onore di Maria nei giorni di
mercoledì, venerdì, sabato e nelle vigilie delle sue feste. Ogni giorno
partecipava alla Messa, anche se poteva ricevere l’Eucaristia solo in
occasione delle maggiori festività. Lo stendardo che scelse come
insegna personale portava le immagini del Crocifisso, di Maria e dei
santi cavalieri Giacomo e Giorgio. Fece costruire a proprie spese
numerose chiese e monasteri, tra cui ricordiamo il Carmine di
Lisbona e la chiesa di Santa Maria della Vittoria a Batalha.
Alla morte della moglie, nel 1387, Nuno non volle passare a nuove
nozze e fu esempio di vita illibata. Quando si raggiunse la pace, donò
ai reduci larga parte dei suoi beni, di cui si disfece totalmente quando,
nel 1423, decise di entrare nel convento dei Carmelitani da lui
fondato, prendendo il nome di fra’ Nuno di Santa Maria. Sospinto
dall’Amore abbandonava in tal modo le armi e il potere per lasciarsi
rivestire dell’armatura spirituale raccomandata dalla Regola del
Carmelo. Compiva in tal modo un cambiamento radicale di vita, che
portava a compimento il cammino di fede autentica che egli aveva
sempre seguito. Avrebbe desiderato ritirarsi in una comunità lontana
dal Portogallo, ma il figlio del re, don Duarte, glielo impedì. Fu
assai difficile però proibirgli di dedicarsi all’elemosina a favore del
convento e soprattutto dei poveri, che continuò ad assistere e a
servire in ogni modo. Per loro organizzò una distribuzione quotidiana
di cibo e non si tirava mai indietro di fronte alle loro richieste.
Il connestabile del re di Portogallo, comandante in capo dell’esercito
e condottiero vittorioso, il fondatore e benefattore della comunità
carmelitana, entrando in convento, non volle privilegi, ma scelse per
sé il rango più umile di “frate donato” e si mise a totale servizio del
Signore, di Maria, la tenera Patrona sempre venerata, e dei poveri,
nei quali riconosceva il volto stesso di Gesù.
Significativo fu anche il giorno della morte di fra’ Nuno di Santa
Maria: la domenica di Pasqua, il 1° aprile 1431, e subito fu considerato
santo dal popolo, che iniziò a chiamarlo «o Santo Condestavel
».
Ma, se la fama di santità di Nuno restò costante e anzi aumentò
con il tempo, ben più complesso è stato l’iter del processo di
Canonizzazione, che iniziò ben presto promosso dai sovrani portoghesi
e poi dall’Ordine Carmelitano, ma incontrò innumerevoli
ostacoli di natura esterna. Solo nel 1894 il p. Anastasio Ronci, allora
postulatore generale dei Carmelitani, riuscì a far introdurre il processo
per il riconoscimento del culto ab immemorabili del Beato
Nuno, che nonostante le difficoltà dovute ai tempi poté concludersi
felicemente il 23 dicembre 1918 con il decreto Clementissimus Deus
di Sua Santità Benedetto XV.
Anche le reliquie furono traslate più volte dal sepolcro originale
nella chiesa del Carmine, finché, nel 1961, in occasione del sesto
centenario della nascita del Beato Nuno, fu organizzato un pellegrinaggio
del prezioso reliquiario d’argento, in cui erano state
deposte, ma poco dopo esso venne rubato e le reliquie mai più
ritrovate; al loro posto furono collocate alcune ossa già conservate
altrove. La scoperta, nel 1996, del sito primitivo della tomba con
alcuni frammenti di ossa compatibili con le reliquie note, ha riacceso
il desiderio di vedere presto il Beato Nuno proclamato Santo dalla
Chiesa.
Il postulatore generale dei Carmelitani, p. Felipe M. Amenós y
Bonet, ottenne la ripresa della causa che nel frattempo era stata
corroborata da un presunto miracolo, avvenuto nel 2000. Furono
svolte le rispettive inchieste, e il 3 luglio 2008, il Santo Padre Benedetto
XVI disponeva la promulgazione del decreto sul miracolo per
la canonizzazione e durante il Concistoro del 21 febbraio 2009 ha
disposto che il Beato Nuno venga iscritto nell’Albo di Santi il 26
aprile 2009.
NUNO ÁLVARES PEREIRA
NUNO ÁLVAREZ PEREIRA  was born in Portugal on 24th June 1360,
most probably at Cernache do Bonjardim. He was illegitimate son of
Brother Álvaro Gonçalves Pereira, Hospitalier Knight of St. John of
Jerusalem and prior of Crato and Donna Iria Gonçalves do Carvalhal.
About a year after his birth, the child was legitimized by royal decree
and so was able to receive the knightly education typical for the
children of the noble families of the time. At thirteen years of age he
became page to Queen Leonor, was received at court and was
created a knight. Aged sixteen, at the wish of his father, he married
a rich young widow Donna Leonor de Alvim. The couple had three
children: two boys who died early in life, and a girl, Beatrice, who
would eventually marry Afonso, first Duke of Bragança, son of King
João I.
When King Fernando died without an heir on 22nd October 1383,
his brother João became involved in the struggle to win the
Lusitanian crown, which was being contested by the King of Castile,
who had married the daughter of the dead king. Nuno took João’s
side, who wanted him as his constable, that is commander-in-chief of
the army. Nuno led the Portuguese army to victory on various
occasions up until the battle of Aljubarrota (14th August 1385), which
brought the conflict to an end.
The military capabilities of Nuno were, tempered by a deep
spirituality, a profound love of the Eucharist and of the Blessed
Virgin, the main foundations of his interior life. Totally dedicated to
Marian prayer, he fasted in Mary’s honour on Wednesdays, Fridays
and Saturdays and on the vigil of her feasts. The banner he chose
as his personal standard bore the image of the cross, of Mary and
of the saintly knights James and George. At his own expense he
built numerous churches and monasteries, among which was the
Carmelite church in Lisbon and the church of Our Lady of Victories
at Batalha.
Following the death of his wife in 1387, Nuno did not wish to
marry again and became a model of celibate life. When peace finally
came, he gave the bulk of his wealth to the veterans, the rest he
would dispose of in 1423 when he decided to enter the convent of the
Carmelites which he himself had founded, taking the name of
Brother Nunoof Saint Mary. Animated by love, he abandoned power
to serve the poor: it was a radical choice for a life, bringing to a peak
the authentic path of faith which he had always followed. With this
choice, he left behind the weapons of war and power in order to be
vested in spiritual armor as the Rule of Carmel recommends. He
would have wanted to withdraw to a community far away from
Portugal, but the son of the king, Don Duarte, prevented it. No
power could stop him from dedicating himself to the convent and
above all to the poor, whom he continued to help and serve in every
possible way. For them he organized a daily distribution of food and
never hesitated in responding to their needs. The Commander of the
King of Portugal, chief officer of the army and victorious leader,
founder and benefactor of the Carmelite community, did not want
any privileges when entering the convent but chose the humblest
rank of a lay brother, putting himself at the service of the Lord, of
Mary his ever venerated Patron, and of the poor in whom he
recognized the face of Jesus himself.
Of significance too was the day of the death of Brother Nuno of
Saint Mary: it was Easter Sunday, the 1st April 1431; following it he
was immediately acclaimed a saint by the people who called him “O
Santo Condestavel”.
While the fame of Nuno’s holiness remained constant and grew
over time, the interim period leading up to the process of canonization
was more complex. This process was begun by the
Portuguese sovereigns and then by the Carmelite Order, but many
obstacles were to get in the way. Only in 1894 did Fr. Anastasio
Ronci, then Postulator General of the Carmelites, succeed in
introducing the process of recognition of the cult ab immemorabili
of Blessed Nuno, Despite the difficulties this came to a happy
conclusion on 23rd December 1918 with the Decree Clementissimus
Deus of Pope Benedict XV.
Even the relics were moved many times from the original tomb
in the Carmelite church, until finally in 1961 on the occasion of the
sixth centenary of the birth of Blessed Nuno, a pilgrimage was
organized with the precious silver reliquary in which they were kept.
Shortly after this was stolen and has never been recovered. In its
place some bones, relics from other places, were gathered together
and preserved. The discovery of the site of the original tombin 1996,
together with some authenticated bone fragments, awakened the
desire to hasten the proclamation of Blessed Nuno as a saint in the
Church.
The Postulator General of the Carmelites, Fr. Felipe M. Amenós
y Bonet, took up the cause again and this was corroborated by a
miracle in the year 2000. The required inquiries having been
undertaken, the Holy Father, Pope Benedict XVI made the proclamation
of the decree approving the miracle on 3rd July 2008. During
the Consistory of 21st February 2009 he indicated that Blessed Nuno
would be enrolled in the list of saints on 26th April 2009.

GELTRUDE COMENSOLI
GELTRUDE COMENSOLI  nasce a Bienno in Val Camonica (Brescia) il
18 gennaio 1847, quinta di dieci figli. Lo stesso giorno della nascita i
genitori, Carlo e Anna Maria Milesi, la portano al fonte battesimale
della chiesa parrocchiale e le danno il nome di Caterina.
Nell’infanzia, Caterina conosce le gioie dell’innocenza e la
spensieratezza dell’età. Il Signore, però, le fa sentire il desiderio di
unirsi a lui intimamente: la piccola è sovente trasportata da un forte
bisogno di raccogliersi nella preghiera e nella meditazione. A chi le
chiede che cosa faccia, risponde: «Penso».
Verso i sette anni, non resistendo più al pressante invito di Gesù,
una mattina molto presto, avvolta nell’ampio scialle nero della
mamma, va nella vicina chiesa di Santa Maria e, ritta in piedi alla
balaustra, riceve furtivamente la Prima Comunione. Caterina pregusta
attimi di Cielo e giura eterno amore con Gesù.
La fanciulla diventa sempre più seria, più raccolta, assorbita dal
solo pensiero di Gesù presente nel sacramento dell’Eucaristia che
viene lasciato lunghe giornate nella solitudine.
Giovinetta si fa apostola dell’Eucaristia: vorrebbe portare Gesù
Sacramentato su un’alta montagna, perché tutti lo vedano e lo
adorino.
Istituisce fra le migliori ragazze la Compagnia della Guardia
d’onore. Il suo ideale è Gesù. Il motto «Gesù amarti e farti amare»
diventa il programma della sua vita.
Attratta ad una vita più perfetta, nel 1862 lascia la famiglia ed
entra nell’Istituto delle Figlie di Carità, fondato da Santa Bartolomea
Capitanio, a Lovere (Brescia). Caterina fa concepire di sé le migliori
speranze, ma le mirabili e misteriose vie della Provvidenza sono
diverse.
La Postulante s’ammala cosicché viene dimessa dall’Istituto. Dopo
la guarigione, a causa delle mutate condizioni finanziarie della
famiglia, lascia il paese e, non a caso, entra, in qualità di domestica,
dapprima nella casa del Prevosto di Chiari, Don G. B. Rota, il quale
qualche anno dopo sarà elevato alla sede episcopale di Lodi, e poi
nella casa paterna della Contessa Fè-Vitali. Questi incontri ed
esperienze saranno preziosi per Caterina.
Nel Natale 1876 ella rafforza i suoi legami con Gesù e scrive di suo
pugno un impegnativo metodo di vita, al quale resterà sempre
fedele.
Nella Festa del Corpus Domini 1878, con il permesso del suo
confessore, rende perpetuo il suo voto di verginità, emesso la mattina
della Comunione furtiva.
Senza trascurare i suoi doveri di domestica, Caterina si fa
educatrice dei bambini di San Gervasio (Bergamo) e li guida sulla via
dell’onestà e delle virtù cristiane e sociali. Con la preghiera assidua,
la mortificazione, un’intensa vita interiore e l’esercizio delle opere
di misericordia, Caterina si prepara ad accogliere la volontà del
Signore.
Scioltasi dai legami familiari in seguito alla morte dei genitori, la
giovane cerca il modo di concretizzare il suo ideale eucaristico. Apre
il suo cuore a Mons. Speranza, allora Vescovo di Bergamo, il quale si
trova a Bienno, ospite dei conti Fé-Vitali.
Egli la incoraggia e l’assicura che tale è la volontà di Dio.
Nel 1880, trovandosi a Roma con i suoi padroni, riesce a parlare
con il Papa Leone XIII del suo progetto di fondare un Istituto
religioso dedito all’adorazione eucaristica. Il Papa glielo modifica
suggerendole di unire all’adorazione anche l’educazione delle giovani
operaie.
Sorretta dal nuovo Vescovo di Bergamo, Mons. Guindani, e
dal suo «Padre e Superiore», Don F. Spinelli, il 15 dicembre 1882
Caterina, insieme a due altre compagne, dà origine alla Congregazione
delle Suore Sacramentine di Bergamo, con la prima ora di
adorazione al Santissimo Sacramento.
Il 15 dicembre 1884, veste l’abito religioso e prende il nome di
Suor Geltrude del Santissimo Sacramento.
La nuova Congregazione si rivela opera di Dio. Come tutte le
opere di Dio, infatti, deve attraversare la bufera delle avversità, che
mette a dura prova la tenera pianticella. Questa, però, ha già
diramato le sue profonde radici nel terreno ubertoso della preghiera,
della mortificazione, dell’umiltà. Non importa che Suor Geltrude
con le suore, consigliata dallo stesso Vescovo di Bergamo, Mons.
Camillo Guindani, succeduto a Mons. Speranza, debba abbandonare
il primo nido e rifugiarsi a Lodi.
Il Vescovo di Lodi, Mons. Rota, accoglie paternamente quelle
figlie, raccomandategli dal Vescovo di Bergamo e, con gesto
magnanimo, procura loro in Lavagna di Comazzo una casa che
diventa provvisoriamente la Casa Madre dell’Istituto.
Superate le prove, l’8 settembre 1891, Mons. Rota, con apposito
Decreto, erige canonicamente l’Istituto. Madre Geltrude il 28 marzo
1892 ritorna a Bergamo, culla della Congregazione, alla quale dà un
impulso decisivo e vitale.
L’opera di Dio è compiuta!
La Fondatrice ha dato ormai tutte la garanzie di continuità per
l’adorazione pubblica perpetua a Gesù Sacramentato, ha trasfuso
nelle Suore il suo prezioso patrimonio spirituale, che è spirito di
preghiera, di sacrificio, di mortificazione, di obbedienza, di umiltà,
di carità, soprattutto verso i poveri.
Può quindi andare incontro allo Sposo. Il 18 febbraio 1903, a
mezzogiorno, Madre Geltrude, piegando il capo verso la chiesa
dell’Adorazione, inizia l’adorazione eterna.
La notizia della morte si sparge e quanti la conoscono, specie la
gente umile e povera da lei prediletta: unanimemente la dichiarano
santa. Il 9 agosto 1926 la salma venerata è trasportata dal cimitero di
Bergamo alla Casa Madre dell’Istituto da lei fondato, dove giace in
apposita cappella, attigua alla chiesa dell’Adorazione. La Chiesa,
esaudendo il desiderio di moltissime persone, il 18 febbraio 1928 apre
il processo diocesano sulla santità della vita di Madre Geltrude, sulle
sue virtù e sui miracoli, e lo conclude nel 1939.
Nello stesso anno, sotto il Pontificato di Pio XII, si apre il Processo
Apostolico.
Il 26 aprile 1961, alla presenza del Santo Padre Giovanni XXIII, ha
luogo la Congregazione generale, dopo la quale è data lettura del
decreto sulla eroicità delle virtù praticate da Madre Geltrude, alla
quale viene attribuito il titolo di Venerabile.
Il 1° ottobre 1989 Giovanni Paolo II la proclama Beata. Il 26 aprile
2009 Benedetto XVI la iscrive nell’albo dei Santi.
GELTRUDE COMENSOLI
GELTRUDE COMENSOLI  was born in Bienno in Val Camonica,
Brescia, on January 18, 1847, the fifth of ten children. On the same
day of her birth, her parents, Carlo and Anna Maria Milesi, took her
to the parish Church to be baptized and she was given the name of
Caterina. During her childhood, Caterina experienced the joys of
innocence and light-heartedness typical of that age. However, the
Lord instilled within her the necessity of being intimately united to
Him: she was often drawn by a strong desire to pray and meditate
deeply. To those who asked her what she was doing she would
answer: “I am thinking”.
At the age of seven, unable to resist any longer the pressing
invitation of Jesus, one day, in the very early morning, she wrapped
herself in her mother’s black shawl and went to the nearby Saint
Mary’s Church. Standing at the balustrade, she secretely made her
First Communion. Caterina experienced a “heavenly” feeling and
swore eternal love to Jesus. The child became more serious,
meditative and more absorbed in the thought of Jesus present in the
Eucharist who, she realized, was often left alone for many days.
While still young, she became an Apostle of the Eucharist: she would
have liked to take Jesus present in the Holy Sacrament onto the top
of a high mountain so that everyone could see and adore Him.
She chose some among the girls she knew to establish the Guard
of Honour. Her ideal was Jesus. The motto: “Jesus, loving You and
making others love You”, became the programme of her life.
Attracted by a more perfect life, she left her family in 1862 and joined
the convent of the Sisters of Charity, founded by St. Bartolomea
Capitanio in Lovere, Brescia. Everyone had the highest hopes for her
but the wonderful and mysterious ways of Providence were different.
The Postulant became seriously ill and was dismissed from
the Institute.
After her recovery, she left her village due to the financial
situation of her family and, surely not by chance, entered into
domestic service, first with Rev. G. B. Rota, parish priest of Chiari,
who a few years later was to become the Bishop of Lody, and
afterwards with the Countess Fé-Vitali. These meetings and experiences
were to be very important to Caterina. During the
Christmas season of 1876 she reaffirmed her dedication to Jesus and
wrote a very demanding way of conducting her life, to which she
remained faithful.
On the Feast of Corpus Christi of 1878, with the permission of her
confessor, she made the vow of chastity, which she had made on the
morning of her secret Comunion, perpetual. Without neglecting her
duties as a domestic servant, Caterina decided to educate the
children of San Gervasio, Bergamo, guiding them towards an honest
life of christian and social virtues.
By means of assiduous prayer, mortification, an intense interior
life and the practice of the deeds of charity, Caterina prepared herself
to accept the will of the Lord. Freed from family responsibilities after
her parents’ death, the young woman sought a way to achieve her
Eucharistic ideal.
She opened her heart to the Bishop of Bergamo Mgr Speranza,
who was, at that time, in Bienno as a guest of the Fé-Vitali’s. He
encouraged and assured her that her plans were the will of God.
In 1880, while in Rome with the Fé-Vitali’s, she succeeded in
speaking with Pope Leo XIII about her plans to establish a religious
institute devoted to the adoration of the Eucharist. The Pope
changed them by inviting her to include the education of young
female factory workers as well.
Supported by the new Bishop of Bergamo, Mgr Guindani, and by
her “Father and Superior”, Rev. F. Spinelli, on December 15, 1882,
Caterina, together with two of her friends began the Congregation of
the Sacramentine Sisters of Bergamo with the first adoration hour
of the Blessed Sacrament. On December 15, 1884 she took the
name of Sister Geltrude of the Blessed Sacrament.
The new Congregation revealed itself to be God’s work. In fact,
like all God’s work, it endured many adversities which sorely tried
the “tender little plant”. However, this plant had already spread its
deep roots into the rich soil of prayer, mortification and humility. It
mattered little that Sister Geltrude and her Sisters, advised by the
Bishop of Bergamo, Mgr Camillo Guindani, successor to Mgr
Speranza, had to abandon their first “nest” in order to take refuge in
Lodi. Mgr Rota, Bishop of Lodi, welcomed them and generously
gave them a house in Lavagna di Comazzo, which temporarily
became the Mother House of the Institute.
When innumerable difficulties had been overcome, Mgr Rota,
with the Decree of September 8, 1891, gave canonical recognition to
the Institute. On March 28, 1892, Mother Geltrude returned to
Bergamo, the birthplace of the Congregation. There she gave it
decisive and strong direction. God’s work was fulfilled!
The Foundress had guaranteed by then the continuation of the
perpetual and public adoration of Jesus in the Blessed Sacrament
and had instilled her precious ideas into her Sisters. Hers was a spirit
of prayer, sacrifice, mortification, obedience, humility and charity
mainly towards the poor. Therefore, she could approach her godly
Bridegroom. On February 18, 1903, at midday, Mother Geltrude,
bowing her head towards the Church of Adoration, began her eternal
adoration. The news of her death quickly spread. Those who had
known her, especially the poor and the humble, who were her
favourite people, declared her a saint. On August 9, 1926, her
venerable remains were taken from the cemetery of Bergamo to the
Mother House of the Institute which she had established. There she
lies in a special chapel next to the Church of Adoration.
By request of numerous people, on February 18, 1928, the
Ordinary Process on the reputation of Mother Geltrude’s sanctity,
her virtuous life as well as miracles, granted by God through Mother
Geltrude’s intercession, began. It ended in 1939.
In the same year, Pius XII authorized the preliminary investigation
of the Apostolic Process in the Cause of Mother Geltrude.
On April 26, 1961, the General Congregation of the then Congregation
of Sacred Rites was held in the presence of Pope John
XXIII. His Holiness promulgated the Decree on the heroic virtuous
life experienced by Mother Geltrude Comensoli, who was then given
the title of “Venerable”.
On October 1, 1989, Pope John Paul II declared her a Blessed
Soul.
On April 26, 2009 Pope Benedict XVI entered her on the register
of Saints.
GELTRUDE COMENSOLI
GELTRUDE COMENSOLI  nació en Bienno, Val Camónica (Brescia)
Italia, el 18 de Enero de 1847.
El mismo día sus padres, Carlo y Anna Maria Milesi, llevaron a la
fuente bautismal a su niña, la quinta de diez hijos, a la que le dieron
el nombre de Caterina.
En su infancia Caterina conoció las alegrías de la inocencia y las
despreocupaciones de la edad. Frecuentemente el Senõr le hacía
sentir el deseo de unirse a El más intimamente y la pequeña era
transportada a menudo por una fuerte necesidad de recogerse en la
oración y en la meditación. A quien le preguntaba, ¿qué haces?, ella
respondía: «Pienso».
Hacia los siete años, no resistiendo ya al urgente llamado de
Jesús, una mañana muy temprano, envuelta en el amplio chal negro
de su madre, fue a la Iglesia de S. Maria, y estando de pié en la
balaustrada, recibió a escondidas su Primera Comunión. La pequeña
gustó anticipadamente momentos de cielo y juró eterno amor a
Jesús.
Al crecer Caterina se hizo cada vez más seria y más recogida,
absorbida por el solo pensamiento de Jesús presente en la Eucaristía.
Y se dio cuenta de que el Maestro queda largas días abandonado.
Con el pasar de los años se volvió un apóstol de la Eucaristía.
Quería llevar a Jesús Sacramentado sobre una alta montaña para que
todos lo vieran y lo adoraran.
Instituió entre sus mejores compañeras la Guardia de Honor, y
elaboró el programa de su vida: «Jesús, amarte y hacerte amado».
Pues, su ideal es Jesús.
Atraída hacia una vida más perfecta, dejó la familia y entró en el
Instituto de Hijas de la Caridad, fundado por Santa Bartolomea
Capitanio, en Lovere (Brescia).
Caterina hizo entender las mejores esperanzas sobre su persona,
pero las admirables y misteriosas vías de la Providencia eran
distintas: la Postulante, enferma, debió dejar el Instituto.
Regresó a su familia y encontró cambiadas las condiciones
económicas, por esto abandonó el pueblo natal y entró en calidad de
sirvienta, no casualmente, en la casa del Párroco de Chiari, el Padre
Juan Bautista Rota, el cual, un año más tarde, fue elevado a la sede
episcopal de Lodi. Así Caterina fue a servir en la casa de la condesa
Fé-Vitali. Fueron encuentros y experiencias preciosas para la joven.
En la Navidad del 1876 reforzó su unión con Jesús y escribió de su
puño y letra un comprometido metodo de vida, al que permanecerá
siempre fiel.
En la fiesta del Corpus Christi del 1878, con el permiso de su
confesor, hizo perpetuo el voto de virginidad, el mismo que había
hecho el día de su Primera Comunión a escondidas.
Caterina, sin descuidar sus deberes de sirvienta, se dedicó a la
educación de los niños de S. Gervasio (Bérgamo) y los guíó por la vía
de la honrade y de las virtudes religiosas y sociales.
Con la mortificación, la oración asidua, una intensa vida interior
y el ejercicio de las obras de misericordia Caterina se preparó a
acoger la voluntad del Señor.
Libre de los vínculos familiares, después de la muerte de sus
padres, Caterina trató de concretizar su ideal eucarístico. Abrió su
corazón a Mons. Speranza, entonces Obispo de Bérgamo el cual se
encontraba en Bienno como huésped de los condes Fé-Vitali, y le
contó el proyecto de fundar una Congregación. El Prelado la animó
y le aseguró que ésta es la voluntad de Dios.
En el 1880 encontrándose en Roma con sus patrones logró hablar
con el Papa León XIII del proyecto de fundar un Instituto religioso
dedicado a la Adoración. El Papa lo modificó sugeriendole de unir a
la Adoración la educación a las jovenes obreras. Sostenida por el
nuevo Obispo de Bérgamo, Mons. Güindani y por su «Padre y
Superior», el sacerdote Francesco Spinelli, el 15 de Dicembre de
1882, Caterina con otras dos jovenes hizo la primiera hora de
adoración.
Así empezó la obra de las Hermanas Sacramentinas de Bérgamo.
Mas tarde, el 15 de Diciembre de 1884, Caterina hizo la vestición
religiosa y tomó el nombre de Sor Geltrude del Santísimo Sacramento.
La nueva Congregación se reveló obra de Dios. Y como
todas las obras de Dios tuvo que atraversar el vendaval de las
adversidades, que puso a dura prueba el pequeño árbol. Este sin
embargo ha echado ya profundas raíces en el terreno fecondo de la
oración, de la mortificación y de la humildad. No importa que Sor
Geltrude con las Hermanas debieron, siguiendo el consejo del mismo
Obispo de Bérgamo, abandonar el primer nido y refugiarse en Lodi.
El Obispo de Lodi, Mons. Rota, acogió paternamente a aquellas
hijas confiadas por el Obispo de Bérgamo. Con gesto magnánimo les
donó una casa en Lavagna di Comazzo, que llegó a ser provisionalmente
la Casa Madre del Istituto.
Superadas las pruebas, el 8 de Septiembre de 1891, Mons. Rota,
con decreto especial, erigó canonicamente el Instituto. Madre
Geltrude el 28 de Marzo de 1892 regresó a Bérgamo, cuna de la
Congregación, a la cual dio un impulso decisivo y vital.
¡La obra de Dios está cumplida! La Fundadora ha dado todas
las garantías de continuidad para la adoración pública perpetua a
Jesús Sacramentado; ha transmitido a sus hermanas su precioso
patrimonio espiritual: espíritu de oración, de sacrificio, de mortificación,
de obediencia, de humildad, de caridad, sobre todo, hacia
los pobres. Ya pudo ir al encuentro del Esposo. El 18 de Febrero de
1903, a medio día, inclinando la cabeza hacia la iglesia de la
Adoración, Madre Geltrude empezó la adoración eterna. La notizia
de su muerte se difundió por toda la región. Cuántos la conocieron,
specialmente los pobres y humildes, tan queridos por ella, unánimemente
la declararon santa.
El 9 de Agosto de 1926 el venerado cadáver fue transportado
del cementerio a la Casa Madre, donde descansa en una capilla
apropriada, contigua a la iglesia de la Adoración.
La Iglesia, escuchando el deseo de muchísima gente, el 18 de
Febrero de 1928 abrió el proceso diocesano sobre la santitad de su
vida, de sus virtudes y milagros que concluyó positivamente en
1939.
En el mismo año durante el pontificado de Pio XII, se abrió el
Proceso Apostólico. El 26 de Abril de 1961, en presencia del Santo
Padre Juan XXIII, tuvo lugar la Congregación General, después de la
cual se dio lectura del Decreto sobre la heroicidad de las virtudes
practicadas por Madre Geltrude Comensoli.
De immediato y por voluntad de Dios, fue declarada «Venerable».
El 1 de Octubre de 1989 Juan Pablo II la proclamó Beata.
El 26 de Abril de 2009, Bendito XVI la escribió en el libro de los
Santos.
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