FONDATORE DELLA CONGREGAZIONE DEI SERVI DELLA CARITÀ
E DELL’ISTITUTO FIGLIE DI SANTA MARIA DELLA PROVVIDENZA
BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO
VERGINE
FONDATRICE DELLA CONGREGAZIONE
DELLE SERVE DI SAN GIUSEPPE
GUIDO MARIA CONFORTI nasce a Ravadese (Parma - Italia) il 30
marzo 1865. Lo stesso giorno viene battezzato. A 11 anni entra in
seminario. Una malattia con manifestazioni di tipo epilettico fa
ritardare l’ordinazione sacerdotale. Nel frattempo viene nominato
vicerettore del seminario, dimostrando notevoli doti di educatore,
ma soprattutto orientando i giovani alla santità con la testimonianza
di una vita vissuta nella luce della fede. Riacquistata la salute, nel
1888 viene ordinato presbitero. Giovanissimo sacerdote, gli viene
conferito l’incarico di “Direttore della Pia Opera della Propagazione
della Fede”. Non ancora trentenne è chiamato a ricoprire l’ufficio
di Vicario Generale.
Non avendo potuto seguire, per ragioni di salute, la vocazione
missionaria alla quale si sentiva chiamato, nel 1895 fonda la Pia
Società di S. Francesco Saverio per le Missioni Estere (Missionari
Saveriani) con lo scopo unico ed esclusivo della evangelizzazione
dei non cristiani. Nel 1899 invia i primi due missionari in Cina,
seguiti negli anni da tanti altri.
Nel 1902, a soli 37 anni, viene chiamato da Papa Leone XIII a
reggere l’Arcidiocesi di Ravenna. Per essere totalmente ed esclusivamente
donato a Cristo e consacrato senza riserve al bene delle
anime, il giorno della consacrazione episcopale emette i voti religiosi
perpetui. Per due anni spende tutte le sue energie per il bene
della diocesi, ma la salute non regge. Per senso di responsabilità
verso il gregge a lui affidato, presenta le dimissioni che il Papa Pio X
accetta. Ritorna quindi al suo Istituto dove si dedica alla formazione
dei suoi allievi missionari.
Ristabilitosi in salute, nel 1907 il Papa gli chiede di reggere la
Diocesi di Parma. Per oltre 24 anni egli ne è il buon pastore. Promuove
l’istruzione religiosa, fino a farne il punto capitale del suo
impegno pastorale; istituisce scuole di dottrina cristiana in tutte
le parrocchie; prepara catechisti e catechiste con appositi corsi di
cultura religiosa e di pedagogia dell’insegnamento e, primo in Italia,
celebra una settimana catechetica. Affrontando fatiche e disagi
senza numero, compie quattro volte la visita pastorale recandosi
fino nelle più piccole parrocchie. Una quinta visita pastorale è interrotta
dalla morte. Celebra due sinodi diocesani, istituisce e promuove
le associazioni cattoliche, la buona stampa, le missioni al
popolo, Congressi Eucaristici, Mariani e Missionari, Convegni di
Azione Cattolica. Cura in modo singolare la formazione del clero
non meno che quella dei laici.
Nulla trascurando del suo servizio pastorale alla diocesi, si prodiga
per l’annuncio del Vangelo ai non cristiani, sia attraverso la
cura della Famiglia missionaria da lui fondata e di cui è Superiore
generale, che appoggiando ogni iniziativa di animazione missionaria
in Italia. Nel 1916 collabora alla fondazione dell’Unione Missionaria
del Clero, di cui è il primo presidente per dieci anni. Nel
1928 egli stesso si reca in Cina, in visita ai suoi missionari e alle
cristianità loro affidate.
Il 5 novembre 1931 si addormenta nel Signore. Il suo funerale
vede un concorso straordinario di popolo.
La fama delle sue virtù e della sua santità da Parma si espande
in tutti i paesi dove operano i Saveriani. I due miracoli per la beatificazione
e la canonizzazione, infatti, hanno luogo rispettivamente
in Burundi e in Brasile.
La sua santità consiste nell’umile, fedele, costante adempimento
della volontà di Dio in ogni momento della vita e nello zelo ardente
per la salvezza di tutti gli uomini. La sua fede viva traspariva
da ogni parola e da ogni atto; la fiducia illimitata nella Divina
Provvidenza era il sostegno in ogni tribolazione; la sua inesauribile
carità verso Dio e verso i fratelli e il desiderio della loro salvezza era
visibile a tutti.
Egli era convinto che la Chiesa è missionaria per sua stessa natura
e, quindi, che ogni cristiano, ciascuno secondo la propria vocazione,
le proprie possibilità e i propri mezzi, deve collaborare perché
il Vangelo raggiunga gli ultimi confini della terra. La sua stessa
vita testimonia che ogni comunità cristiana deve «allargare la vasta
trama della carità sino ai confini della terra, dimostrando per quelli
che sono lontani la stessa sollecitudine che si ha per coloro che
sono membri della propria comunità» (AG 37) e che un vescovo
«è consacrato non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza del
mondo intero» (AG 38).
È stato beatificato in San Pietro da Papa Giovanni Paolo II il 17
marzo 1996. Sua Santità Benedetto XVI nel Concistoro pubblico
del 21 febbraio 2011 decide di iscriverlo nel novero dei santi.
GUIDO MARIA CONFORTI was born in Ravadese (Parma - Italy) on
30 March 1865 and was baptized on the same day. He joined the
seminary when he was 11 years old. An illness with epileptic symptoms
delayed his ordination to the priesthood. In the meantime,
he was appointed vice-rector of the seminary, showing remarkable
talent as a formator, but above all guiding the young seminarians
to holiness through the witness of a life lived in the light of faith.
When he recovered his health, he was ordained priest in 1888. As
a very young priest, he was appointed “Director of the Society for
the Propagation of the Faith”. He was made Vicar General of the
Diocese of Parma when he was not yet thirty years old.
Since poor health prevented him from pursuing the missionary
vocation to which he felt called, in 1895 he founded the St. Francis
Xavier Foreign Missions Society (Xaverian Missionaries) with the
sole and exclusive purpose of evangelizing the non-Christians. In
1899 he sent his first two missionaries to China and these were
subsequently followed by many others.
In 1902, when he was just 37 years old, Pope Leo XIII appointed
Conforti Archbishop of Ravenna. In order to dedicated himself
totally to Christ, and consecrate his entire life to the good of souls,
he made his perpetual religious profession on the day of his ordination
as a bishop. For two years he invested all his energy for the
good of the archdiocese, but the effort was too much for his poor
health. His sense of responsibility towards his flock led him to offer
his resignation, which was accepted by Pope Pius X. Conforti then
returned to his Institute where he dedicated himself to the formation
of his missionary students.
When his health improved, in 1907, the Pope asked him to
govern the diocese of Parma. For more than 24 years he served
the diocese as its good shepherd. He promoted religious instruction,
making it the priority of his pastoral ministry; he established
schools of Christian doctrine in all the parishes; he provided for
the training of male and female catechists with special courses in
religious culture and the pedagogy of teaching and, the first in Italy,
he celebrated a Catechetics Weeks. Enduring all kinds of difficulties
and hardships, he carried out four pastoral visits to the diocese,
traveling to the most distant parishes, whilst a fifth pastoral visit
was interrupted by his death. He held two diocesan synods, set up
and promoted the Catholic Associations, the good press, popular
missions, Eucharistic, Marian and Missionary Congresses and the
Conferences of the Catholic Action. He took special care of the formation
of the clergy and the laity.
He neglected nothing that concerned his pastoral service to the
diocese and did everything he could to promote the proclamation
of the Gospel to the non-Christians, through taking care of the missionary
Family he founded, and of which he was Superior General,
as well as supporting every missionary animation initiative in Italy.
In 1916 he collaborated in the foundation of the Missionary Union
of the Clergy, serving for ten years as its first president. In 1928 he
traveled to China to visit his missionaries and the Christian communities
entrusted to them.
He died in the peace of the Lord on 5 November 1931 and his
funeral was attended by an extraordinary number of people.
The fame of his virtues and holiness spread from Parma to all
the countries where the Xaverians are working. Indeed, the two
miracles for his beatification and canonization took place, respectively,
in Burundi and Brazil.
His holiness consists in the humble, faithful and constant fulfillment
of God’s will in every moment of life and in his burning
zeal for the salvation of all. His living faith shone through his every
word and action; his unlimited trust in Divine Providence sustained
him in all his trials and tribulations; his inexhaustible love for God
and others, and the desire for their salvation, were visible to all.
He was convinced that the Church is missionary by her very
nature and, therefore, that every Christian, each one according
to his/her own vocation, possibilities and means, must work to
ensure that the Gospel reaches the ends of the earth. Conforti’s
own life bore witness to the fact that every Christian community
must «extend the range of its charity to the ends of the earth,
and devote the same care to those afar off as it does to those that
are its own members» (AG 37) and that a bishop «is consecrated
not just for some one diocese, but for the salvation of the entire
world» (AG 38).
He was beatified in St. Peter’s by Pope John Paul II on 17 March
1996. In the public consistory of 21 February 2011, Pope Benedict
XVI decided to include his name in the book of saints.
GUIDO MARIA CONFORTI naquit à Ravadese (Parme - Italie) le 30
mars 1865. Il fut baptisé le même jour. A l’âge de 11 ans, il entra
au Séminaire. Une maladie présentant des manifestations de type
épileptique fit repousser son ordination sacerdotale. Entre temps, il
fut nommé vice-recteur du Séminaire, faisant preuve de remarquables
dons d’éducateur mais surtout sachant orienter les jeunes vers
la sainteté par le témoignage d’une vie vécue à la lumière de la foi.
Une fois rétabli, il fut ordonné prêtre en 1888. Très jeune prêtre, il
reçut la charge de «Directeur de la Pieuse OEuvre de la Propagande
de la Foi» et alors qu’il n’avait pas encore trente ans, il fut appelé à
occuper l’office de Vicaire Général.
N’ayant pu, pour raisons de santé, suivre la vocation missionnaire
à laquelle il se sentait appelé, il fonda en 1895 la Pieuse Société
de Saint François Xavier pour les Missions Etrangères (Missionnaires
Xavériens) avec pour but unique et exclusif l’évangélisation des
non chrétiens. En 1899, il envoya les deux premiers missionnaires
en Chine, missionnaires qui furent suivis de nombreux autres au
cours des années.
En 1902, à l’âge de 37 ans seulement, il fut appelé par le Pape
Léon XIII à gouverner l’Archidiocèse de Ravenne. Afin d’être totalement
et exclusivement donné au Christ et consacré sans réserve
au bien des âmes, il prononça, le jour de sa consécration épiscopale,
les voeux religieux perpétuels. Pendant deux ans, il dépensa
toute son énergie pour le bien du Diocèse mais sa santé déclina.
Par sens de responsabilité envers le troupeau qui lui avait été confié,
il présenta sa démission au Pape Pie X, qui l’accepta. Il revint
ainsi à son Institut où il se dédia à la formation de ses élèves missionnaires.
Une fois rétabli, en 1907, le Pape lui demanda de gouverner le
Diocèse de Parme. Pendant plus de 24 ans, il en fut le bon pasteur.
Il promut l’instruction religieuse, jusqu’à en faire le point capital de
son engagement pastoral. Il institua des écoles de doctrine chrétienne
dans toutes les Paroisses. Il prépara des catéchistes – hommes et
femmes – par le biais de cours de culture religieuse et de pédagogie
de l’enseignement ad hoc et fut le premier en Italie à célébrer une
semaine catéchétique. Affrontant des fatigues et des désagréments
sans nombre, il accomplit à quatre reprises la visite pastorale, se
rendant jusque dans les plus petites paroisses. Une cinquième visite
pastorale fut interrompue par sa mort. Il célébra deux Synodes
diocésains, institua et promut les associations catholiques, la
bonne presse, les missions au peuple, les Congrès eucharistiques,
mariaux et missionnaires, ainsi que les colloques de l’Action catholique.
Il eut particulièrement à coeur la formation du Clergé ainsi
que celle des laïcs.
Ne négligeant rien de son service pastoral en faveur du Diocèse,
il se prodigua pour l’annonce de l’Evangile aux non chrétiens tant
en s’occupant de la Famille missionnaire qu’il avait fondé et dont il
fut le Supérieur Général, qu’en appuyant toute initiative d’animation
missionnaire en Italie. En 1916, il collabora à la fondation de
l’Union Missionnaire du Clergé dont il fut pendant 10 ans le premier
Président. En 1928, il se rendit lui-même en Chine, en visite à
ses missionnaires et aux chrétientés leur confiées.
Il s’endormit dans le Seigneur le 5 novembre 1931. Ses obsèques
furent caractérisées par une participation extraordinaire.
La réputation de ses vertus et de sa sainteté se répandit à partir
de Parme dans tous les pays où oeuvrent les Xavériens. Les deux
miracles pour sa béatification et sa canonisation ont en effet eu lieu
respectivement au Burundi et au Brésil.
Sa sainteté consiste dans l’accomplissement humble, fidèle et
constant de la volonté de Dieu à chaque instant de sa vie et dans le
zèle ardent pour le salut de tous les hommes. Sa foi vive transparaissait
dans ses paroles et actes. Sa confiance illimitée en la Divine
Providence était le soutien de toutes ses tribulations. Son inépuisable
charité envers Dieu et envers ses frères ainsi que le désir de leur
salut était visible de tous.
Il était convaincu du fait que l’Eglise est missionnaire par nature
et que tout chrétien, selon sa propre vocation, ses possibilités
et moyens, doit collaborer afin que l’Evangile parvienne jusqu’aux
extrémités de la terre. Sa vie même témoigne du fait que chaque
communauté chrétienne doit «étendre le rayon de sa charité jusqu’aux
extrémités de la terre, et avoir, pour ceux qui sont loin, une
sollicitude semblable à celle qu’elle a pour ceux qui sont ses propres
membres» (AG 37) et qu’un Evêque est «consacré non seulement
pour un diocèse déterminé, mais pour le salut du monde entier»
(AG 38).
Il a été béatifié en la Basilique Saint Pierre par le Bienheureux
Pape Jean Paul II le 17 mars 1996. Au cours du Consistoire public
du 21 février 2011, Sa Sainteté Benoît XVI a décidé de l’inscrire au
nombre des saints.
GUIDO MARIA CONFORTI nació el 30 de marzo de 1865 en Ravadase
(Parma - Italia). Fue bautizado el mismo día de su nacimiento. A los
11 años entró en el seminario. Pero por causa de una enfermedad
con síntomas de tipo epiléptico, tubo que retrasar su ordenación
sacerdotal. Mientras tanto fue nombrado vicerrector del seminario
mostrando notables dotes de educador, pero sobretodo orientando
los jóvenes a la santidad con su testimonio de una vida vivida a la
luz de la fe. Una vez recuperada la salud, en 1888 fue ordenado
presbítero. Siendo aún un jovencísimo sacerdote se le confirió el
encargo de “Director de la Pía Obra de la Propagación de la Fe”.
Cuando todavía no había cumplido los treinta años fue llamado a
ocupar el cargo de Vicario General.
No pudiendo seguir, por razones de salud, la vocación misionera
a la cual se sentía llamado, en 1895, fundó la Pía Sociedad de
S. Francisco Javier para las Misiones Extranjeras (los Misioneros
Javerianos), dedicada exclusivamente a la evangelización de los no
cristianos. En 1899 envió a los dos primeros misioneros a la China,
a los que siguieron muchos otros a los largo de los años.
En 1902, cuando tenía tan solo 37 años, el Papa León XIII lo
llamó a guiar la Archidiócesis de Ravenna. Para estar totalmente
y exclusivamente entregado a Cristo y consagrado sin reservas al
bien de las almas, el día de su ordenación episcopal emitió la profesión
perpetua de sus votos religiosos. Durante dos años consumió
todas sus energías por el bien de la diócesis, pero su salud no lo
soportó. Su profundo sentido de responsabilidad hacia el rebaño
que le había sido confiado le llevó a presentar la dimisión que fue
aceptada por el Papa Pio X. Regreso a su instituto donde se dedicó
a la formación de sus jóvenes misioneros.
Una vez recobrada la salud, en 1907, el Papa le encargó la
Diócesis de Parma, de la que fue el buen pastor durante más de
24 años. Promovió la educación religiosa, hasta convertirla en el
punto central de su compromiso pastoral; instituyó las escuelas de
la doctrina cristiana en todas las parroquias; preparó a los catequistas
con cursos apropiados de cultura religiosa y de pedagogía de la
educación y fue el primero en Italia que celebró una semana catequética.
Afrontando grandes fatigas e incomodidades realizó cuatro
visitas pastorales viajando hasta las parroquias más remotas.
La muerte interrumpió su quinta visita pastoral. Celebró dos sínodos
diocesanos, instituyó y promovió las asociaciones católicas, la
buena prensa, las misiones populares, los Congresos Eucarísticos,
Marianos, Misioneros y de la Acción Católica. Cuidó de manera
especial la formación del clero así como la de los laicos.
Sin descuidar nada de su servicio pastoral a la diócesis, se entregó
incansablemente al anuncio del Evangelio a los no cristianos,
ya sea a través del cuidado de la Familia misionera que había
fundado y de la que era Superior General, que apoyando toda iniciativa
de animación misionera en Italia. En 1916 colaboró en la
fundación de la Pontificia Unión Misionera del Clero, de la que
fue su primer presidente durante diez años. En 1928, él mismo
viajó a China para visitar a sus misioneros y a las comunidades a
ellos confiadas.
El 5 de noviembre de 1931, entró en la Casa del Padre. A su
funeral asistieron un sin número de personas.
La fama de su virtud y de su santidad se extendió desde Parma
a todos los países donde se encontraban los Javerianos. De hecho,
los dos milagros para la beatificación y canonización han sucedido
en Burundi y en Brasil.
Su santidad consiste en el humilde, fiel, constante cumplimiento
de la voluntad de Dios en cada momento de su vida y en su celo
ardiente por la salvación de todos los hombres. Su fe viva se reflejaba
en cada una de sus palabras y acciones; su confianza ilimitada
en la Divina Providencia era su apoyo en todas sus tribulaciones; su
inagotable caridad hacia Dios y hacia los hermanos y el deseo de su
salvación eran visibles a todos.
Estaba convencido de que la Iglesia es misionera por su misma
naturaleza y que por lo tanto todo cristiano debe colaborar, cada
uno según su propia vocación, posibilidades, y medios, para que el
evangelio llegue hasta los confines de la tierra. Su vida da testimonio
de que toda comunidad cristiana debe “extender la vasta trama
de la caridad hasta los últimos confines de la tierra, demostrando
por aquellos que están lejos, la misma solicitud que se tiene por
aquellos que son miembros de la misma comunidad” (AG 37) y que
un Obispo “ha sido consagrado no solamente para una Diócesis,
sino para la salvación de todo el mundo” (AG 38).
El 17 de marzo de 1996, fue beatificado en San Pedro por el
Papa Juan Pablo II. Su Santidad Benedicto XVI en el consistorio
público del 21 de febrero de 2011 decidió inscribirlo en el Canon
de los Santos.
GUIDO MARIA CONFORTI nasceu em Ravadese (Parma - Itália) no
dia 30 de março de 1865. Foi batizado no mesmo dia. Aos 11 anos,
ingressou no seminário. Uma doença com sintomas de tipo epilético
atrasou sua ordenação. Entretanto, foi nomeado vice-reitor do
seminário, demonstrando notáveis dotes como educador, mas principalmente,
orientando os jovens à santidade com o testemunho de
uma vida de fé. Com a saúde recuperada, foi ordenado presbítero
em 1888. Jovem sacerdote, foi nomeado “Diretor da Pia Obra da
Propagação da Fé”. Antes de completar trinta anos, foi chamado a
ser Vigário Geral.
Por motivos de saúde, não podendo realizar a vocação missionária
à qual se sentia chamado, em 1895, fundou a Pia Sociedade
de São Francisco Xavier para as Missões Além Fronteiras
(Missionários Xaverianos) com o único objetivo de evangelizar os
não-cristãos. Em 1899, enviou os primeiros dois missionários à
China, e nos anos sucessivos, muitos outros os seguiram.
Em 1902, com apenas 37 anos, foi chamado pelo Papa Leão
XIII a dirigir a Arquidiocese de Ravenna. Doou-se total e exclusivamente
a Cristo e consagrou-se sem reservas ao bem das almas.
Assim, no dia da consagração episcopal, emitiu os votos religiosos
perpétuos. Durante dois anos, dedicou todas as suas energias ao
bem da Diocese, mas sua saúde acabou cedendo. Sentindo-se responsável
pelo rebanho a ele confiado, apresentou renúncia, aceita
pelo Papa Pio X, e voltou a seu Instituto, onde se dedicou à formação
de seus alunos missionários.
Com a saúde restabelecida, em 1907 o Papa lhe confiou a Diocese
de Parma. Foi um bom pastor por mais de 24 anos. Promoveu
a instrução religiosa ao ponto de transformá-la em ponto crucial
de seu empenho pastoral; instituiu escolas de doutrina cristã em
todas as paróquias; preparou catequistas com cursos específicos
de cultura religiosa e de pedagogia do ensinamento e, pioneiro na
Itália, celebrou uma semana catequética. Enfrentando fadigas e
inúmeras dificuldades, realizou quatro visitas pastorais, indo às
paróquias mais remotas. A quinta visita pastoral foi interrompida
pela morte. Celebrou dois sínodos diocesanos, instituiu e promoveu
associações católicas, a boa imprensa, as missões populares,
Congressos Eucarísticos, Marianos, Missionários e da Ação Católica.
Zelou de modo especial pela formação do clero, assim como a
dos leigos.
Sem descuidar de seu serviço pastoral na Diocese, empenhou-se
no anúncio do Evangelho aos não-cristãos, seja através da atenção
à Família missionária, por ele fundada e da qual foi Superior Geral,
como apoiando todas as iniciativas de animação missionária
na Itália. Em 1916, colaborou na fundação da União Missionária
do Clero, da qual foi o primeiro presidente por dez anos. Em 1928
foi pessoalmente à China, visitar os confrades e as comunidades
cristãs a eles confiadas.
No dia 5 de novembro de 1931 adormeceu no Senhor. Seus funerais
registraram extraordinária participação popular.
A fama de suas virtudes e de sua santidade estendeu-se de Parma
a todos os países onde atuam os Xaverianos. Os dois milagres
para a beatificação e a canonização verificaram-se, com efeito, no
Burundi e no Brasil.
Sua santidade consiste no humilde, fiel e constante cumprimento
da vontade de Deus em todos os momentos de sua vida e no
ardente zelo pela salvação de todos os homens. Sua fé viva transparecia
em cada sua palavra e gesto; a confiança ilimitada na Divina
Providência foi sustento para suas tribulações; sua inexaurível caridade
para com Deus e os irmãos, além do desejo de sua salvação,
eram visíveis a todos.
Estava convencido de que a Igreja é missionária por sua própria
natureza e, portanto, que todo cristão, conforme a sua vocação,
possibilidades, e meios, deve colaborar para que o Evangelho chegue
até os últimos confins da terra. Sua vida testemunha que toda
comunidade cristã deve “ampliar a vasta trama da caridade até os
confins da terra, demonstrando, em relação aos mais distantes, a
mesma solicitude expressa aos membros da própria comunidade”
(AG 37) e que um Bispo “é consagrado não apenas para sua Diocese,
mas para a salvação do mundo inteiro” (AG 38).
Foi beatificado em São Pedro pelo Papa João Paulo II no dia
17 de março de 1996. Sua Santidade Bento XVI no consistório
público do 21 de fevereiro de 2011 decidiu incluí-lo no livro
dos santos.
LUIGI GUANELLA (1842-1915) La vita di don Luigi Guanella fu una lunga rincorsa per rendersi
presente dove c’era un grido d’aiuto e un soccorso da offrire; una
sensibilità coltivata sin dall’infanzia.
Luigi Guanella nacque a Fraciscio, frazione del comune di
Campodolcino, diocesi di Como, il 19 dicembre 1842. II giorno seguente
gli fu amministrato il sacramento del Battesimo.
I genitori, Lorenzo e Maria Bianchi, furono cristiani esemplari,
dediti alla famiglia, al lavoro dei campi e alla pastorizia. Era abitudine
non solo la recita del Santo Rosario, ma anche la lettura della
vita dei santi, esperienza che caratterizzò l’attività apostolica della
sua esistenza.
Dopo gli studi nel seminario a Como, il 26 maggio 1866 ricevette
la consacrazione sacerdotale e, l’anno dopo l’ordinazione, fu
nominato parroco a Savogno. Durante i sette anni di zelante ministero
ebbe contatto con don Bosco e l’istituzione del Cottolengo a
Torino. Desideroso di un’esperienza religiosa più radicale, nel 1875
si recò da don Bosco, emettendo i voti religiosi per un triennio. Il
vescovo di Como lo richiamò in diocesi e don Guanella tornò con il
sogno di fondare un’istituzione che raccogliesse ragazzi bisognosi.
Aprì una scuola che successivamente dovette chiudere per ostilità
delle autorità civili.
«L’ora della misericordia», come chiamava don Guanella il momento
propizio del favore divino, scoccò nel novembre 1881 quando
arrivò a Pianello Lario come parroco, dove trovò un gruppo di
ragazze dedite all’assistenza dei bisognosi.
Quel gruppo di giovani donne diventerà la fonte della nuova
congregazione: le Figlie di Santa Maria della Provvidenza.
Lo zelo e la carità apostolica di don Luigi incrementarono l’opera
benefica sino a permettere di espandere l’attività nel cuore della
stessa città di Como. Esse iniziarono l’attività della «Casa Divina
Provvidenza», divenuta poi la Casa Madre delle due congregazioni,
quella femminile e quella maschile.
Insieme ai poveri aumentarono anche le braccia e i cuori per
assisterli e amarli. Accanto alla Congregazione delle suore, don
Guanella raccolse anche un gruppo di sacerdoti che chiamò «Servi
della Carità».
«Fermarsi non si può fin quando ci sono poveri da soccorrere»,
ripeteva spesso nei suoi pellegrinaggi nelle piaghe della povertà.
Per questo le due congregazioni religiose andavano diffondendosi
in varie regioni italiane e nella vicina Confederazione Elvetica nel
Canton Grigioni e Canton Ticino. Nel 1904 il Beato Luigi Guanella
realizzò il sogno di arrivare nella città santa, Roma, per essere accanto
al Papa e dimostrare la sua fedeltà alla Chiesa grazie ad una
testimonianza luminosa di carità e ardore apostolico.
San Pio X, che aveva compreso la grandezza d’animo di don
Guanella, lo stimò e gli affidò il desiderio di costruire una chiesa
dedicata al Transito di San Giuseppe. Accanto alla parrocchia sorse
così anche la Pia Unione del Transito di San Giuseppe, un’associazione
di preghiere per i morenti. San Pio X volle essere il primo degli
iscritti. Lo zelo missionario lo spinse nell’America del Nord tra
gli emigranti italiani. Nel dicembre del 1912 all’età di settant’anni
don Guanella si imbarcò e raggiunse gli Stati Uniti.
L’ultimo intervento straordinario nella vita di don Guanella fu
nel gennaio 1915, quando volle rimanere a Roma per essere di aiuto
ai terremotati dell’Abruzzo. Al suo fianco operò con zelo il venerabile
Aurelio Bacciarini, primo parroco di San Giuseppe, suo
successore al governo della Congregazione dei Servi della Carità
e poi chiamato al ministero episcopale nella diocesi di Lugano in
Svizzera.
Gli acciacchi della vecchiaia, l’ingresso dell’Italia nella Prima
guerra mondiale, l’impegno di alcuni confratelli al fronte militare,
minarono la sua salute.
Nei suoi scritti don Guanella aveva lasciato questo messaggio:
«la morte è come una madre che si abbraccia il figlio […], è l’angelo
che ci riconduce alla patria». Quella madre, lucente come un
angelo, passò alle ore 14,15 di quella domenica 24 ottobre 1915.
E fu una domenica senza tramonto.
The life of Fr. Aloysius (Fr. Luigi by the Servants of Charity) was
a long run to be present wherever there was a cry for help and there
was help to be offered; a sensibility he cultivated since childhood.
ALOYSIUS GUANELLA was born in Fraciscio, an outlying district of
the municipality of Campodolcino in the Diocese of Como, on December
19, 1842. On the following day he received the sacrament
of Baptism.
His parents, Lorenzo and Maria Bianchi, were exemplary Christians
dedicated to the family, to their work in the fields and to sheep
and cattle farming. They were accustomed not only to reciting
the Holy Rosary but also to reading the lives of the saints, an experience
that was to characterize the apostolic activity of Aloysius
throughout his life.
Having completed his studies at the seminary in Como, he was
ordained a priest on May 26, 1866 and the year after his ordination
he was appointed parish priest of Savogno. During his seven
years as a zealous minister he came into contact with Don Bosco
and Cottolengo’s institution in Turin. Eager to have a more radical
religious experience, in 1875 he entered Don Bosco’s Order, making
religious vows for three years. The Bishop of Como recalled him to
the diocese and Fr. Guanella returned with the dream of founding
an institution that would take in needy boys. He opened a school
which he was subsequently obliged to close because of the hostility
of the civil authorities.
“The hour of mercy”, as Fr. Guanella called the propitious moment
of divine favor, struck in November 1881 when he arrived
in Pianello Lario as parish priest. Here he found a group of girls
dedicated to providing help for the needy.
This group of young women was to become the kernel of the
new congregation: the Daughters of St. Mary of Providence.
Fr. Aloysius’ zeal and apostolic built up the beneficial work until
it was able to expand its activity in the heart of the city of Como
itself. The young women began the activities of the “House of Divine
Providence”, which later became the Mother House of the two,
female and male, congregations.
They opened both their arms and hearts to the poor, to help
them and to love them. Alongside the Congregation of Sisters, Fr.
Guanella also gathered a group of priests whom he called “Servants
of Charity”.
“It is impossible to stop as long as there are poor people to
be helped”, he would frequently repeat on his pilgrimages to the
wounds of poverty. For this reason both religious congregations
continued to spread in various Italian regions and to the Cantons
of Grisons (Grigioni) and Ticino in the neighboring Swiss Confederation.
In 1904 Aloysius Guanella realized his dream of reaching
the holy city, Rome, to be closer to the Pope and to show his fidelity
to the Church through a luminous witness of charity and apostolic
fervor.
St. Pius X had understood the greatness of Fr. Guanella’s mind,
held him in high esteem and entrusted to him his wish to build a
church dedicated to the Transito di San Giuseppe [happy death of
St. Joseph]. Beside the parish church the Pious Union of the Transito
di San Giuseppe, an association of prayer for the dying, sprang
up. St. Pius X wanted to be its first member.
His missionary zeal impelled him to go to the Italian immigrants
in North America. In December 1912, at the age of 70, Fr.
Guanella embarked on a ship bound for the United States.
The last extraordinary intervention in Fr. Guanella’s life was
in January 1915, when he chose to stay in Rome to help the victims
of the earthquake in the Abruzzo. He had beside him working
with zeal Venerable Aurelio Bacciarini, the first parish priest of
St. Joseph Parish and his successor in the governance of the Congregation
of the Servants of Charity, who was later called to the
episcopal ministry in the Swiss Diocese of Lugano.
The infirmities of old age, Italy’s entry into the First World War
and the involvement of several of his confreres on the military front
undermined his health.
In the booklets Fr. Guanella bequeathed to us he wrote: “death
is like a mother who embraces her son […] she is the angel who
takes us to our homeland”. That mother, bright as an angel, passed
at 2:15 p.m. on Sunday, 24 October 1915. And it was a Sunday on
which the sun never set.
LUIS GUANELLA
La vida de don Luis Guanella fue un largo impulso para hacerse
presente donde había un grito de ayuda y un socorro que ofrecer;
una sensibilidad cultivada ya desde la infancia.
Luis Guanella nació en Fraciscio, fracción del municipio de
Campodolcino, diócesis de Como, el 19 de diciembre de 1842. Al
día siguiente le fue administrado el sacramento del Bautismo.
Los padres, Lorenzo y María Bianchi, fueron cristianos ejemplares,
entregados a la familia, al trabajo de los campos y la ganadería.
Acostumbraban a rezar en familia el Santo Rosario y leían
juntos la vida de los santos, experiencia que caracterizó la actividad
apostólica de su existencia.
Terminados los estudios en el seminario de Como, el 26 de mayo
de 1866 recibió la consagración sacerdotal y al año siguiente fue
nombrado párroco en Savogno. Durante los siete años de ferviente
ministerio tuvo contacto con don Bosco y la institución del Cottolengo
en Turín. Deseoso de una experiencia religiosa más radical,
en 1875 se fue junto a don Bosco, emitiendo los votos religiosos por
un trienio. El obispo de Como lo volvió a llamar a la diócesis y don
Guanella regresó con el sueño de fundar una institución que recogiera
a chicos necesitados. Abrió una escuela que después tuvo que
cerrar a causa de la hostilidad de las autoridades civiles.
“La hora de la misericordia”, como llamaba don Guanella al
momento propicio del favor divino, surgió en noviembre de 1881
cuando llegó a Pianello Lario como párroco, dónde encontró un
grupo de jóvenes entregadas a la asistencia de los pobres.
Ese grupo de jóvenes mujeres se convertirá en el inicio de la
nueva congregación: las Hijas de Santa María de la Providencia.
El celo y la caridad apostólica de don Luis incrementaron la
obra benéfica hasta permitir la difusión de la actividad en el corazón
de la misma ciudad de Como. Ellas iniciaron la actividad
de la “Casa divina Providencia”, que serà la Casa Madre de las dos
Congregaciones, la femenina y la masculina.
Junto a los pobres también aumentaron los brazos y los corazones
para asistirlos y amarlos. Además de la Congregación de las
Hermanas, don Guanella también formó un grupo de sacerdotes
que llamó “Siervos de la Caridad”.
“No se puede parar mientras haya pobres para socorrer”, repetía
a menudo en sus peregrinaciones por curar las llagas de las
pobrezas. Por este motivo las dos Congregaciones religiosas se iban
difundiendo en varias regiones italianas y en la cercana Confederación
Helvética en el Cantón Grigioni y Cantón Ticino. En 1904 san
Luis Guanella realizó el sueño de llegar a la ciudad santa, Roma,
para estar junto al Papa y demostrar su fidelidad a la Iglesia, gracias
a un testimonio luminoso de caridad y ardor apostólico.
San Pío X había comprendido la grandeza de ánimo de don
Guanella, lo estimó y le confió el deseo de construir una iglesia dedicada
al Tránsito de San José. Junto a la parroquia también surgió
la Pía Unión del Tránsito de San José, una asociación de oraciones
por los moribundos. San Pío X quiso ser el primero de los inscritos.
El celo misionero lo empujó a América del Norte, entre los emigrantes
italianos. En diciembre de 1912, a la edad de setenta años,
don Guanella se embarcó y llegó a los Estados Unidos.
La última intervención extraordinaria en la vida de don Guanella
fue en enero de 1915, cuando quiso permanecer en Roma para
ayudar a las víctimas del terremoto del Abruzzo. Trabajó con celo a
su lado el venerable Aurelio Bacciarini, primer párroco de San José,
su sucesor en el gobierno de la Congregación de los Siervos de la
Caridad y llamado después al ministerio episcopal en la diócesis de
Lugano, Suiza.
Los achaques de la vejez, la entrada de Italia en la primera guerra
mundial, la marcha de algunos cohermanos al frente militar, minaron
su salud.
Don Guanella dejó en sus escritos esta consideración: “la muerte
es como una madre que se abraza al hijo […], es el ángel que
nos reconduce a la patria”. Aquella madre, brillante como un ángel,
pasó a las 14,15 de aquel domingo 24 de octubre de 1915. Y fue un
domingo sin ocaso.
A vida de Pe. Guanella foi uma contínua busca em marcar presença
onde houvesse um grito de auxílio e um socorro a oferecer;
uma sensibilidade cultivada desde a infância.
Pe. Guanella nasceu em Frascicio, distrito de Campodolcino,
diocese de Como, em data de 19 de dezembro de 1842; no dia seguinte
recebeu o sacramento do Batismo.
Os pais, Lorenzo e Maria Bianchi, foram cristãos exemplares,
dedicados à família, ao trabalho dos campos e ao pastoreio. Tinham
por hábito não apenas a recitação do Santo Rosário, mas também
a leitura da vida dos santos, experiência essa que caracterizou
a atividade apostólica da sua existência.
Após os estudos no Seminário de Como recebeu a consagração
sacerdotal e, após um ano foi, nomeado pároco de Savogno. Durante
sete anos de zeloso ministério manteve contato com Dom Bosco
e a instituição do Cottolengo, em Turim. Em 1875 – almejando uma
experiência religiosa mais radical – foi estar ter com Dom Bosco
e emitiu os votos por um triênio. O bispo solicitou seu retorno à
Diocese e ele voltou com o sonho de fundar uma instituição que
acolhesse crianças necessitadas. Abriu uma escola, mas teve que
fechá-la em seguida, devido à hostilidade das autoridades civis.
A “hora da misericórdia” – assim Pe. Guanella definia o momento
propício da condescendência divina – soou em novembro de 1881
quando chegou a Pianello Lário para assumir a Paróquia. Ali encontrou
um grupo de jovens, empenhadas em assistir os necessitados.
Aquele grupo de jovens mulheres tornar-se-á a fonte da nova
Congregação: as Filhas de Santa Maria da Providência.
O zelo e a caridade apostólica de Pe. Guanella incrementaram
a obra beneficente a tal ponto de expandir a atividade em Como,
no coração da cidade. Elas iniciaram a atividade da “Casa Divina
Providência”, que se tornou a Casa Mãe das duas Congregações, a
feminina e a masculina.
Juntamente com os pobres aumentaram igualmente os braços
e os corações para assisti-los e amá-los. Junto com à Congregação
das Irmãs, Pe. Guanella reuniu também um grupo de sacerdotes:
os Servos da Caridade.
“Não se pode parar enquanto houver pobres a socorrer”, costumava
repetir em suas peregrinações às chagas da pobreza. Por
isso mesmo as duas Congregações se difundiam em várias regiões
italianas e, até mesmo, na vizinha Confederação Helvética: Cantão
dos Grisões e Cantão Ticino. Em 1904 São Luís Guanella realizou
o sonho de aportar à cidade santa de Roma para estar próximo
ao Papa e demonstrar a sua fidelidade à Igreja, graças a um testemunho
luminoso de caridade e ardor apostólico.
São Pio X entendera a grandeza de Pe. Guanella. Por isso o estimou
e lhe confiou o desejo de construir uma igreja, dedicada ao
“Trânsito de São José”, uma associação de preces pelos agonizantes.
São Pio X quis ser o primeiro inscrito.
O zelo apostólico levou-o à América do Norte, em meio aos imigrantes
italianos. Em dezembro de 1912 – já com setenta anos –
embarcou e chegou aos Estados Unidos.
A última manifestação extraordinária de Pe. Guanella ocorreu
em janeiro de 1915 quando quis permanecer em Roma para auxiliar
as vítimas do terremoto ocorrido no “Abruzzo”. A seu lado o
zelo do Venerável Aurélio Bacciarini, primeiro pároco de São José,
seu sucessor à frente da Congregação dos Servos da Caridade e,
mais tarde, nomeado bispo da Diocese de Lugano, na Suíça.
As limitações da idade avançada, o envolvimento da Itália na
primeira guerra mundial e a convocação de alguns coirmãos para
servir o exército abalou sua saúde.
Em seus opúsculos Pe. Guanella nos diz que “a morte assemelha-
se a uma mãe que abraça seu filho [...], é o anjo que nos
reconduz à pátria”. Aquela mãe, qual anjo de luz, passou às 14,15
horas daquele domingo, 24 de outubro de 1915. E foi um domingo
sem ocaso!
BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO (1837-1905) inicia en el último cuarto del siglo
XIX un nuevo camino de espiritualidad, centrado en hermanar
la oración con el trabajo en la sencillez de la vida cotidiana, siguiendo
a Jesús, trabajador en Nazaret como uno de tantos.
Nace en Salamanca (España) el 6 de junio de 1837. Era la mayor
de seis hermanos, su padre era sastre y su madre ama de casa.
Al terminar los estudios primarios aprende el oficio de cordonera,
con el que comienza a ganarse la vida a los 15 años, a la muerte
de su padre. Trabaja primero por cuenta ajena. Superadas las dificultades
económicas, establece por su cuenta un sencillo taller de
cordonería, pasamanería y otras labores, en el que trabaja con el
mayor recogimiento posible.
El testimonio de vida de Bonifacia llama la atención de un grupo
de chicas, amigas suyas, que le expresan el deseo de pasar en
su compañía las tardes de domingos y festivos para verse libres de
las peligrosas diversiones de la época. La casa-taller de Bonifacia
se convierte así en un incipiente centro de prevención de la mujer
trabajadora decimonónica. Parte de la tarde la dedican a reuniones
amistosas, en grupo y a solas con Bonifacia, a la que se confían
como a su maestra de espíritu. Otra parte la reservan para rezar a
María Inmaculada y a san José, por lo que su taller es también un
sencillo centro de espiritualidad mariano-josefina.
En 1870 llega destinado a Salamanca el jesuita catalán Francisco
Butinyà y Hospital (Banyoles, Girona 1834-Tarragona 1899)
con una gran inquietud apostólica hacia la evangelización del mundo
del trabajo. Bonifacia comparte con él su experiencia de fe y,
a través de ella, Butinyà entra en contacto con las chicas que se
reunían en su casa, la mayor parte trabajadoras manuales como
ella. Y el Espíritu le sugiere la fundación de una nueva congregación
femenina, orientada a la prevención de la mujer trabajadora,
valiéndose de aquellas mujeres trabajadoras. Butinyà invita a Bonifacia
a fundar con él las Siervas de san José, a lo que ella accede
con docilidad. Y el 10 de enero de 1874, Bonifacia, su madre y otras
cinco chicas de la Asociación Josefina comienzan en Salamanca la
vida de comunidad.
Se trataba de un novedoso proyecto de vida religiosa femenina,
inserta en el mundo del trabajo a la luz de la contemplación de
la Sagrada Familia, recreando en las casas de la Congregación el
Taller de Nazaret. En él las Siervas de san José ofrecían trabajo
a las mujeres pobres que carecían de él, evitando así los peligros
que corría su dignidad de mujeres al salir a trabajar fuera de casa.
Las religiosas no llevaban hábito, no aportaban dote y trabajaban
codo a codo con las laicas en el taller, teniendo caja común. Este
proyecto de vida religiosa, arriesgado y audaz, en seguida comienza
a ser combatido por el clero diocesano de Salamanca, que no capta
la hondura evangélica de esta forma de vida tan cercana al mundo
del trabajo.
A los tres meses de la fundación, el fundador, Francisco Butinyà,
tiene que dejar Salamanca para no volver. Al año siguiente
abandona también Salamanca el obispo, trasladado a la sede episcopal
de Barcelona. Bonifacia se ve sola al frente de la Congregación
en un ambiente hostil y de incomprensión hacia el nuevo proyecto,
considerado por algunos como “cosa de locos”. Dos de los
directores de la Congregación, nombrados por el obispo para suceder
al padre Butinyà, siembran imprudentemente la división entre
las hermanas, algunas de las cuales, apoyadas por ellos, comienzan
a oponerse al taller como forma de vida y a la acogida de la mujer
trabajadora en él.
En 1882 el director quiere introducir cambios en los fines apostólicos
trazados en las Constituciones por el fundador, Francisco
Butinyà, pero Bonifacia, la fundadora, no lo consiente. Para desembarazarse
de ella, promueve su destitución como superiora de
la comunidad aprovechando un viaje a Cataluña, adonde había
acudido llamada por Butinyà para procurar la unión con otras casas
fundadas por él al regreso del destierro. De vuelta a Salamanca,
Bonifacia rinde obediencia a la nueva superiora y se adapta con
humildad a la vida comunitaria como una de tantas. Humillaciones,
rechazo, desprecios y calumnias recaen sobre ella para hacerla
salir de Salamanca, pues el director quería despojarla también de
su condición de fundadora y orientadora del Instituto. La única
respuesta de Bonifacia es el silencio, la humildad y el perdón, sin
ninguna reivindicación ni protesta. Pero no claudica ni se rinde,
sino que se mantiene firme.
Como solución al conflicto, propone al obispo de Salamanca
una nueva fundación en Zamora. El 25 de julio de 1883, acompañada
de su madre, sale hacia esta ciudad, donde es acogida y
apoyada por el obispo, el clero y la población en general que valoran
y sostienen su obra, incluso a nivel económico. Y en Zamora
Bonifacia cumple con toda fidelidad el fin primigenio de la Congregación,
recogiendo jóvenes desamparadas y dando asilo a criadas
desacomodadas, a las que prepara para una vida de trabajo digno
en el que se encontrasen con Dios como trabajadoras cristianas.
Crea entre todas las moradoras del Taller relaciones humanas de
igualdad, fraternidad y respeto. Bonifacia sigue siendo cordonera,
pertenece a su clase social, y pone un extremo cuidado en la educación
e instrucción de estas jóvenes que, sirviendo o en taller, tienen
que ganar el pan con el sudor de la frente.
Mientras, la casa madre de Salamanca, bajo la guía de los nuevos
superiores eclesiásticos, lleva a cabo modificaciones sustanciales
en las Constituciones del padre Butinyà y cambia los fines de
la Congregación, orientándola hacia la enseñanza. Se desentiende
totalmente de Bonifacia y de la casa de Zamora, dejándola sola y
aislada, hasta el punto de que, cuando el papa concede en 1901 la
aprobación pontificia de la Congregación, queda excluida la comunidad
de Zamora.
Ni siquiera este nuevo rechazo la separa de sus hijas de Salamanca,
a las que sigue queriendo, nunca sale de sus labios la más
pequeña queja.
Bonifacia Rodríguez de Castro es testigo de grandes valores
evangélicos:
- Vive el mandamiento del Señor con toda generosidad, haciendo
del amor fraterno su sello de identidad y del amor a los pobres
su primordial dedicación.
- Dios es para ella un padre amoroso y providente, en el que vive
abandonada “llena de fe y confianza” a lo largo de toda su vida.
Esta fe y confianza en Dios la hacen resistente y fuerte en las
contrariedades.
- Perdona y olvida humillaciones, calumnias e injusticias. Nunca
se le oye la menor queja, considerándose dichosa de poder imitar
el silencio del Señor y su caridad en perdonar a los que lo
crucificaron.
- Madre y maestra de otras mujeres trabajadoras, ellas son “las
niñas de sus ojos”, les da por entero la vida, pues por defender
la dignidad de la mujer pobre sin trabajo como genuina misión
del Instituto padece persecuciones y rechazos.
- Sabe sufrir con la madurez de quien lo espera todo de Dios, sin
afligirse ni desconcertarse, “siempre igual, tranquila y bondadosa”,
“no se preocupaba más que en agradar a Dios en todas las cosas”.
- Al morir no nos deja grandes obras, nos deja su vida de fiel seguimiento
de Jesús, obra maestra del Espíritu en ella.
Fallece en Zamora el 8 de agosto de 1905. El 23 de enero de
1907 la casa de Zamora se incorpora al resto de la Congregación.
Pero habrá que esperar a 1941 para que Bonifacia sea reconocida
como fundadora.
Su aporte específico a la espiritualidad de la Iglesia es el seguimiento
de Jesús en los años de Nazaret, hermanando la oración
con el trabajo en la sencillez de la vida cotidiana.
“Hermanar oración y trabajo”, núcleo de su espiritualidad, es
una original intuición de Francisco Butinyà que, como buen jesuita,
busca actualizar para el mundo del trabajo del siglo XIX el “buscar
y hallar a Dios en todas las cosas” de san Ignacio.
El aspecto central de la misión de Bonifacia mira a la prevención
de la mujer trabajadora pobre en situación de riesgo, generando
espacios de vida y trabajo en los que la vivencia de Nazaret
se convierte en un medio de evangelización y promoción que le
permite ver reconocida su dignidad.
La misión de Bonifacia no ha terminado: desde Dios vela por la
dignidad de todas las trabajadoras del mundo.
BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO (1837-1905) inizia nell’ultimo quarto del XIX
secolo un nuovo cammino di spiritualità, unendo preghiera e lavoro
nella semplicità della vita quotidiana, alla sequela di Gesù, operaio
a Nazaret, come un uomo qualsiasi.
Nasce a Salamanca (Spagna) il 6 Giugno del 1837. È la primogenita
di sei fratelli: il padre è sarto e la madre casalinga. Dopo la
scuola elementare impara il mestiere di cordonaia e così comincia
a guadagnarsi da vivere, alla morte del padre, all’età di 15 anni.
Prima lavora presso terzi. Superate le difficoltà economiche, crea
il suo laboratorio, molto semplice, di fabbrica di cordoni, passamanerie
e altri manufatti, dove lavora nel maggior raccoglimento
possibile.
La testimonianza di vita di Bonifacia colpisce un gruppo di ragazze,
sue amiche, che le esprimono il desiderio di passare i pomeriggi
domenicali e festivi in sua compagnia, per sentirsi libere dalle
pericolose diversioni dell’epoca. La casa-laboratorio di Bonifacia
diventa così l’inizio di un centro di prevenzione per la donna lavoratrice
del XIX Secolo. Parte del pomeriggio è dedicata a riunioni
amichevoli in gruppo o solo con Bonifacia, con cui si confidano
considerandola la loro maestra spirituale. Un’altra parte del pomeriggio
è dedicata a pregare Maria Immacolata e San Giuseppe, e
così il laboratorio è anche un piccolo centro di spiritualità mariana
e giuseppina.
Nel 1870 giunge a Salamanca il gesuita catalano Francisco
Butinyà y Hospital (Banyoles, Girona 1834-Tarragona 1899) con
una forte premura apostolica verso l’evangelizzazione del mondo
del lavoro. Bonifacia condivide con lui la sua esperienza di fede e,
grazie a lei, Butinyà entra in contatto con le ragazze che si riunivano
a casa sua, la maggior parte lavoratrici manuali come lei. E
lo Spirito gli suggerisce la fondazione di una nuova congregazione
femminile, orientata verso la prevenzione della donna lavoratrice,
servendosi di quelle donne. Butinyà invita Bonifacia a fondare con
lui le Serve di San Giuseppe, proposta che lei accetta con docilità.
Il 10 gennaio del 1874, Bonifacia, sua madre ed altre cinque ragazze
dell’Associazione Giuseppina iniziano a Salamanca la vita di
comunità.
Si tratta di un nuovo progetto di vita religiosa femminile inserita
nel mondo del lavoro alla luce della contemplazione della Santa
Famiglia, ricreando nelle case della Congregazione la Bottega di
Nazaret. Lì le Serve di San Giuseppe offrono lavoro alle donne povere
che ne sono prive, evitando così i pericoli che la loro dignità di
donne corre nel lavoro fuori casa. Le religiose non portano l’abito,
non consegnano la dote, lavorano gomito a gomito con le laiche
nel laboratorio e hanno la cassa in comune. Questo progetto di vita
religiosa, rischioso e audace, viene subito ostacolato dal clero diocesano
di Salamanca, che non coglie la profondità evangelica di
questa vita così vicina al mondo del lavoro.
Tre mesi dopo la fondazione, Francisco Butinyà deve lasciare
Salamanca per non ritornare mai più. L’anno dopo anche il vescovo
abbandona Salamanca, perché destinato alla sede episcopale di
Barcellona. Bonifacia resta sola a capo della Congregazione in un
ambiente ostile e di incomprensione verso il nuovo progetto, che
alcuni considerano come una “cosa da matti”. Due direttori della
Congregazione, nominati dal vescovo per succedere a padre Butinyà,
seminano con imprudenza la divisione tra le suore, tanto che
alcune, da essi supportate, iniziano ad opporsi al laboratorio artigianale
inteso come forma di vita e all’accoglienza al suo interno
delle donne lavoranti.
Nel 1882 il direttore vuole introdurre cambiamenti nelle finalità
apostoliche tracciate nelle Costituzioni dal fondatore, Francisco
Butinyà, ma Bonifacia non lo permette. Per sbarazzarsi di lei, ne
promuove la destituzione da superiora della comunità approfit46
tando di un viaggio nella Catalogna, dove era stata chiamata da
Butinyà per cercare di unire la comunità di Salamanca con altre
case da lui fondate al suo ritorno dall’esilio. Nel giungere a Salamanca,
Bonifacia obbedisce alla nuova superiora e si adatta con
umiltà alla vita comunitaria come una suora qualsiasi. Umiliazioni,
rifiuto, disprezzi e calunnie ricadono su di lei per farla andare via
da Salamanca, poiché il direttore vuole spogliarla anche della sua
condizione di fondatrice e orientatrice dell’Istituto. L’unica risposta
di Bonifacia è il silenzio, l’umiltà e il perdono, senza nessuna rivendicazione
o protesta. Ma non traballa e tanto meno si arrende, anzi
si mantiene ferma.
Per risolvere il conflitto, propone al vescovo di Salamanca una
nuova fondazione a Zamora. Il 25 luglio del 1883, accompagnata
da sua madre, si reca verso questa città, dove è accolta e appoggiata
dal vescovo, dal clero e dalla popolazione in generale che apprezzano
e sostengono la sua opera, anche sul piano economico. E a
Zamora Bonifacia compie fedelmente l’obiettivo primigenio della
congregazione, raccogliendo giovani abbandonate e dando asilo a
domestiche senza lavoro, che prepara per una vita degna dove poter
incontrare Dio, lavorando cristianamente. È capace di creare
tra tutte le lavoratrici rapporti umani di uguaglianza, di fraternità
e di rispetto nel laboratorio. Bonifacia continua ad essere cordonaia,
appartiene alla loro classe sociale, e si occupa con somma
cura dell’educazione e dell’istruzione di queste giovani che devono
guadagnarsi il pane con il sudore della fronte, servendo nelle case o
lavorando nel laboratorio.
Nel frattempo, la casa madre di Salamanca, sotto la guida dei
nuovi superiori ecclesiastici, opera modifiche sostanziali alle Costituzioni
di padre Butinyà e cambia gli obiettivi della Congregazione,
orientandola verso l’insegnamento. Si allontana totalmente da
Bonifacia e dalla casa di Zamora, lasciandola sola e isolata, fino al
punto che, quando il Papa nel 1901 concede l’approvazione pontificia
della Congregazione, la comunità di Zamora ne rimane esclusa.
Nemmeno questo nuovo rifiuto la separa dalle sue figlie di Salamanca,
a cui continua a voler bene e mai esce dalle sue labbra la
minima lamentela.
Bonifacia Rodríguez de Castro è testimone di grandi valori
evangelici:
- Vive il comandamento del Signore con totale generosità, facendo
dell’amore fraterno il suo marchio di identità e dell’amore ai
poveri la sua dedicazione prioritaria.
- Dio è per lei un padre provvidente e pieno di amore, in cui vive
abbandonata “piena di fede e di fiducia”. Questa fede e fiducia
in Dio la rendono forte e resistente nelle contrarietà.
- Perdona e dimentica le umiliazioni, le calunnie e le ingiustizie.
Non la si sente mai pronunciare la minima lamentela, considerandosi
sempre fortunata di poter imitare il silenzio del Signore
e la sua carità nel perdonare coloro che lo crocifissero.
- Madre e maestra di altre donne lavoratrici, che sono “la pupilla
dei suoi occhi”, dedica loro tutta la sua vita; infatti, per difendere
la dignità della donna povera, senza lavoro, come vera missione
dell’Istituto, soffre persecuzioni e rifiuti.
- Sa soffrire con la maturità di chi aspetta tutto da Dio, senza
affliggersi né sconcertarsi, “sempre uguale, tranquilla e buona”,
“preoccupandosi solo di essere gradita a Dio in tutte le
cose”.
- Dopo la sua morte non ci lascia grandi opere, ma la sua vita di
fedele sequela di Gesù, opera maestra dello Spirito in lei.
Muore a Zamora, l’8 agosto del 1905. Il 23 gennaio del 1907
la casa de Zamora si unisce al resto della Congregazione. Ma bisognerà
aspettare fino al 1941 affinché Bonifacia sia riconosciuta
fondatrice.
Il suo contributo specifico alla spiritualità della Chiesa è la sequela
di Gesù negli anni di Nazaret, unendo preghiera e lavoro,
nella semplicità della vita quotidiana.
“Unire preghiera e lavoro”, nucleo della sua spiritualità, è un’intuizione
originale di Francisco Butinyà. Egli, da buon gesuita, cerca
di attualizzare per il mondo del lavoro del XIX Secolo il “cercare
e scoprire Dio in tutte le cose” di Sant’Ignazio.
L’aspetto centrale della missione di Bonifacia è quello di tendere
alla prevenzione della donna lavoratrice povera in situazione di
rischio, generando spazi di vita e di lavoro in cui la vita di Nazaret
diventa un mezzo di evangelizzazione e di promozione che le permette
di veder riconosciuta la propria dignità.
La missione di Bonifacia non è terminata: accanto a Dio, veglia
per la dignità di tutte le lavoratrici del mondo.
In the last quarter of the 19th century Bonifacia Rodríguez de
Castro initiated a new kind of spirituality, centered on harmonizing
prayer with work in the simplicity of daily life, following Jesus, a
worker in Nazareth, like anyone else.
She was born, the eldest of six siblings, in Salamanca (Spain)
on the 6th of June, 1837. Her father was a tailor and her mother a
housewife. After finishing her primary education she learned the
skill of cord making with which she started to earn a living at the
age of 15, upon the death of her father. First, she got employed.
Having overcome economic difficulties, she established her own
simple shop of cord making, passementerie and other handicraft,
in which she worked with the greatest recollection possible.
The testimony of Bonifacia’s life called the attention of a group
of young women, friends of hers, who expressed to her the desire to
spend Sunday afternoons and holidays in her company to protect
them from the dangerous pastime of the period. The house-shop of
Bonifacia was thereby converted into an incipient center for protection
of 19th century women workers. They dedicated part of the
afternoon to friendly meetings, individually or as a group, with Bonifacia
in whom they confided as if she were their spiritual teacher.
They reserved the rest of the time for praying to Mary Immaculate
and to St. Joseph, and so the shop was also a simple center for
Marian-Josephine spirituality.
In 1870, a Jesuit Catalan, Francisco Butinyà y Hospital (Banyoles,
Girona 1834-Tarragona 1899), having a great apostolic preoccupation
for the evangelization of the world of work, was assigned
to Salamanca. Bonifacia shared with him her faith experience
and, through her, Butinyà came in contact with the young women
who used to gather in her house, the majority of whom were manual
workers like her. The Spirit inspired him to found a new congregation
for women oriented towards the protection of women
workers, starting with those women workers. Butinyà invited Bonifacia
to found the Siervas de San Jose with him, to which she
agreed with docility. On the 10th of January, 1874, Bonifacia, her
mother and five other young women of the Josephine Association
began their community life in Salamanca.
It was a novel project of feminine religious life, inserted in the
world of work, illumined by the contemplation of the Holy Family,
recreating in the houses of the Congregation the Shop of Nazareth.
In it the Siervas de San Jose offered work to poor unemployed
women, thus avoiding the risks that endangered their dignity as
women when they go out to work outside the house. The religious
neither wore habit nor contributed dowry, and they worked side by
side with laywomen in the shop, having a common fund. This idea
of religious life, at once risky and daring, soon began to be opposed
by the diocesan clergy of Salamanca who did not grasp the evangelical
depth of this form of life so close to the world of work.
Within three months of the foundation, the founder, Francisco
Butinyà, had to leave Salamanca, never to return. The following
year, the bishop also left Salamanca, having been transferred to the
episcopal seat of Barcelona. Bonifacia was left alone at the head of
the Congregation in an environment that was hostile to, and lacked
understanding of, the new project considered by some as a “matter
of fools”. Two of the directors of the Congregation appointed by the
bishop to succeed Fr. Butinyà imprudently sowed division among
the sisters, some of whom, supported by them, began to oppose the
shop as a way of life and the sheltering of women workers in it.
In 1882, the director wanted to introduce changes in the apostolic
end spelt out in the Constitutions by the founder, Francisco
Butinyà, but Bonifacia, the foundress, did not consent. In order to
get rid of her, he instigated her destitution as superior of the community
taking advantage of a trip to Catalunya where she had been
called by Butinyà to work on the union with the other communities
founded by him on his return from exile. Upon her return to
Salamanca, Bonifacia rendered obedience to the new superior and
adapted herself with humility to the community life like anyone
else. Humiliation, rejection, scorn and calumnies fell on her so as to
make her leave Salamanca because the director wanted to strip her
as well of her being the foundress and guide of the Institute. Bonifacia’s
only response was silence, humility and pardon, offering no
defense and raising no complaint. However, neither did she give up
nor surrender, but remained firm instead.
To resolve the conflict, she proposed to the bishop of Salamanca
a new foundation in Zamora. On the 25th of July, 1883 Bonifacia,
accompanied by her mother, left for this city where she was
welcomed and supported by the bishop, the clergy and the people
in general, who valued and stood behind her work, even on the
economic level. In Zamora Bonifacia fulfilled with total fidelity the
original intent of the Congregation, gathering unprotected youth
and sheltering unemployed domestic helpers whom she prepared
for a life of dignified work in which they would encounter God as
Christian workers. Fostering relationships of equality, charity and
respect among those who live in the Shop, Bonifacia continued
being a cordmaker, belonged to their social class and gave much
attention to the education and instruction of these youth who, whether
working as domestic helpers or working in the shop, had to
earn their bread by the sweat of their brow.
Meanwhile, the motherhouse in Salamanca, under the guidance
of the new ecclesiastical superiors brought to completion
substantial modifications in the Constitutions of Fr. Butinyà and
changed the purpose of the Congregation, directing it towards
teaching. They totally abandoned Bonifacia and the house in Zamora,
leaving her alone and isolated to the point that when the
Pope, in 1901, granted the pontifical approbation of the Congregation,
the community of Zamora was left excluded.
Not even this new rejection would separate her from her daughters
in Salamanca whom she continued to love. Not a smallest
word of complaint was ever heard from her.
Bonifacia Rodríguez de Castro is a witness to great gospel
values:
- She lived the commandment of God with total generosity, making
of sisterly love the seal of her identity and of love for the
poor her primordial dedication.
- God was for her a loving Father who provides, in whom she
abandoned herself “filled with faith and trust” all throughout
her life. This faith and trust in God had made her strong and
resilient in the face of contradictions.
- She forgave and overlooked humiliation, calumny and injustice.
Never was she heard with the least complaint, considering
herself blest to be able to imitate the silence of the Lord and his
charity in forgiving those who crucified him.
- Mother and teacher of other women workers; they were the “apple
of her eye”, laying down her entire life for them. It was in defense
of the poor, unemployed women workers as the original mission
of the Institute, that she suffered persecution and rejection.
- She knew how to suffer with the maturity of one who hoped
all things in God, without getting distressed or disconcerted,
“always balanced, serene and kind”, “she had no other concern
but to please God in all things”.
- When she died she left no great works; she bequeathed to us
a life of faithful following of Jesus, a masterpiece of the Spirit
in her.
She died in Zamora on the 8th of August, 1905. On the 23rd of
January, 1907 the house in Zamora was incorporated to the rest
of the Congregation. But it was not until 1941 that Bonifacia was
recognized as foundress.
Her specific contribution to the spirituality of the Church is the
following of Jesus in his years spent in Nazareth, harmonizing prayer
with work in the simplicity of daily life.
“To harmonize prayer and work”, which is the core of her spirituality,
is an original intuition of Francisco Butinyà who, as a good
Jesuit, tried to contemporize for the world of work of the 19th century
the call to “seek and find God in all things” of St. Ignatius.
The central feature of the mission of Bonifacia aims at protecting
the poor women workers at risk, creating spaces for life and
work where the living out of Nazareth is converted into a means of
evangelization and development where their dignity is recognized.
The mission of Bonifacia is not finished: in God she looks after
the dignity of the women workers of the world.
BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO (1837-1905) entame dans le dernier quart du
XIXème siècle un nouveau chemin de spiritualité, qui a son centre
dans l’union de la prière avec le travail dans la simplicité de la
vie quotidienne, suivant Jésus, qui travaille à Nazareth comme tant
d’autres travailleurs.
Elle est née à Salamanca (Espagne) le 6 juin 1837. Elle est
l’aînée de six frères, son père était tailleur. A la fin de ses études
primaires elle apprend le métier de passementière, et elle commence
à gagner sa vie à 15 ans, après la mort de son père. D’abord
elle travaillait pour d’autres. Une fois les difficultés économiques
dépassées, elle ouvre son propre atelier de cordons, passementerie
et d’autres ouvrages, très simple, où elle travaille avec le plus grand
recueillement possible.
Le témoignage de vie de Bonifacia attire l’attention d’un groupe
de jeunes filles, ses amies à elle, qui lui expriment leur souhait de
passer avec elle les après-midi des dimanches et des jours fériés
afin d’être libres des diversions dangereuses de leur époque. La
maison-atelier de Bonifacia devient ainsi un germe d’un centre de
prévention de la femme travailleuse du XIXème siècle. Un moment
de l’après-midi est consacrée à des réunions amicales, en groupe
et individuellement avec Bonifacia, c’est à elle qu’elles se confient
comme à leur maîtresse d’esprit. Un autre moment est réservé à la
prière, prier Marie Immaculée et saint Joseph, c’est pourquoi leur
atelier est aussi un simple centre de spiritualité marial-joséphine.
En 1870 est affecté à Salamanca le jésuite catalan Francisco Butinyà
y Hospital (Banyoles, Girona 1834-Tarragona 1899), il a une
grande inquiétude apostolique pour l’évangélisation du mode du
travail. Bonifacia partage avec lui son expérience de foi et, à travers
elle, Butinyà entre en contact avec les jeunes filles qui se réunissaient
dans sa maison, la plupart des travailleuses manuelles comme
elle. Et l’Esprit lui suggère de fonder une nouvelle congrégation
féminine, orientée à la prévention de la femme travailleuse, en se
servant des ces mêmes femmes travailleuses-là. Butinyà invite Bonifacia
à fonder avec lui les Servantes de saint Joseph, et elle y acquiesce
docilement. Le 10 janvier 1874, Bonifacia et sa mère, ainsi
que d’autres cinq jeunes filles de l’Association Joséphine, commencent
à Salamanca la vie en communauté.
Il s’agissait d’un nouveau projet de vie religieuse féminine,
insérée dans le monde du travail et à la lumière de la contemplation
de la Sainte Famille, elles recréent dans les maisons de leur Congrégation
l’Atelier de Nazareth. C’est là que les Servantes de saint
Joseph offraient du travail aux femmes pauvres qui en manquaient,
évitant ainsi les dangers que leur dignité de femmes encourait en
travaillant hors du foyer, ce dont Bonifacia en avait l’expérience.
Les religieuses ne portaient pas d’habit et travaillaient côte à côte
avec des filles laïques dans l’atelier, elles avaient une caisse commune.
Ce projet de vie religieuse, hardi et audacieux, va être combattu
trop tôt par le clergé diocésain de Salamanca, qui n’arrive pas à
capter le profondeur évangélique de cette forme de vie si proche du
monde du travail.
Trois mois après la fondation, le fondateur, Francisco Butinyà,
doit quitter Salamanca, et n’y reviendra plus. L’an suivant l’évêque
abandonne aussi Salamanca lorsqu’il est muté au siège épiscopal
de Barcelona. Bonifacia se retrouve donc toute seule à la tête de
la Congrégation dans un milieu hostile et qui ne comprend pas le
nouveau projet, que d’ailleurs quelques-uns traitent de «maison
de fous». Deux des directeurs de la Congrégation, nommés par
l’évêque pour succéder à père Butinyà, sèment imprudemment la
division parmi les soeurs, alors quelques-unes, appuyées par eux,
commencent à s’opposer à l’atelier en tant que forme de vie et aussi
à y accueillir des femmes travailleuses.
En 1882 le directeur veut introduire des changements dans les
fins apostoliques tracées dans les Constitutions par le fondateur
Francisco Butinyà, mais Bonifacia, la fondatrice, n’y consent pas.
Pour se débarrasser d’elle, il entame sa destitution, en tant que
supérieure de la communauté, profitant d’un voyage à Catalogne,
où elle s’était rendue appelée par Butinyà afin de procurer l’union
avec les autres maisons fondées par lui dès son retour du bannissement.
De retour à Salamanca, Bonifacia se soumet, obéit la nouvelle
supérieure et s’adapte humblement à la vie communautaire comme
n’importe quelle autre soeur. Les humiliations, le refus, les mépris et
les calomnies tombent sur elle afin de la faire quitter Salamanca, car
le directeur voulait aussi la dépouiller de sa condition de fondatrice
et guide de l’Institut. La seule réponse de Bonifacia est le silence,
l’humilité et le pardon, sans aucune revendication ni proteste. Mais
elle ne se plie pas, ne cède pas, au contraire, reste ferme.
Afin de résoudre le conflit, elle propose à l’évêque de Salamanca
une nouvelle fondation à Zamora. Le 25 juillet 1883, accompagnée
de sa mère, elle quitté vers Zamora où elle est accueillie et
appuyée par l’évêque, le clergé et la population en générale qui valorisent
et soutiennent son oeuvre, même au niveau économique.
C’est à Zamora qu’elle accomplit en toute fidélité la fin primitive
de la Congrégation, elle accueille les jeunes filles désemparées et
loge les domestiques au chômage, elle les prépare pour une vie de
travail digne où elles vont rencontrer Dieu en tant que travailleuses
chrétiennes. Elle crée entre toutes celles qui restent à l’Atelier des
relations humaines d’égalité, de fraternité et de respect. Bonifacia
est toujours passementière, appartient à sa classe sociale, connaît
bien les besoins et les risques qu’on peut rencontrer dans la vie de
travail et met un soin extrême à éduquer et instruire ces jeunes filles
qui, domestiques ou à l’atelier, doivent gagner leur pain à la sueur
de leur front.
Au même temps, la maison mère de Salamanca, guidée par les
nouveaux supérieurs ecclésiastiques, mène à terme des modifications
essentielles dans les Constitutions du père Butinyà et change
les fins de la Congrégation en l’orientant vers l’enseignement. On
se détache totalement de Bonifacia et de la maison de Zamora, on
la laisse seule et isolée, à tel point que, lorsque le pape accorde en
1901 l’approbation pontificale à la Congrégation, le communauté
de Zamora en reste exclue.
Mais même ce nouveau refus n’est capable de le séparer de ses
filles de Salamanca, elle continue de les aimer, jamais sortira de ses
lèvres la moindre plainte.
Bonifacia Rodríguez de Castro est témoin de grandes valeurs
évangéliques:
- Elle vit le commandement de Dieu avec toute générosité, faisant
de l’amour fraternel le cachet de son identité et de l’amour pour
les pauvres son plus grand dévouement.
- Dieu est pour elle un père tendre et provident, elle s’abandonne
à lui «pleine de foi et de confiance» tout au long de sa vie. Cette
foi et cette confiance en Dieu la rendent résistante et forte dans
les contrariétés.
- Elle pardonne et oublie les humiliations, les calomnies et les
injustices. Jamais on l’écoutera la plus petite plainte, elle est
heureuse de pouvoir imiter le silence du Seigneur et sa charité
en pardonnant ceux qui l’ont mis en croix.
- Mère et maîtresse d’autres femmes travailleuses, elles seront
«les prunelles de ses yeux», elle leur donne sa vie entière puisqu’elle
souffre les persécutions et les refus à cause de la défense
de la dignité de la femme pauvre sans travail comme primitive
mission de l’Institut.
- Elle connaît comment souffrir avec la maturité de celui qui
attend tout de Dieu, sans se plaindre et sans se déconcerter,
«toujours calme, tranquille, pleine de bonté», «elle ne se souciait
que de plaire à Dieu en toute chose».
- A sa mort elle ne nous laisse pas de grands oeuvres, elle nous
laisse sa vie de fidèle suite de Jésus, chef d’oeuvre de l’Esprit en
elle.
Elle est décédée à Zamora le 8 août 1905. Le 23 janvier 1907 la
maison de Zamora s’incorpore au reste de la Congrégation. Mais
il faudra attendre 1941 pour que Bonifacia soit reconnue comme
fondatrice.
Son apport spécifique à la spiritualité de l’Eglise est la suite de
Jésus dans les années de Nazareth, en unissant la prière et le travail
dans la simplicité de la vie quotidienne.
“Unir prière et travail”, noyau de son spiritualité, est une intuition
originale de Francisco Butinyà qui, en tant que bon jésuite,
cherche à rendre actuel pour le monde du travail du XIX siècle le
“chercher et trouver Dieu en toute chose” de saint Ignace.
L’aspect central de la mission de Bonifacia est orienté vers la
prévention de la femme travailleuse pauvre à risque, en générant
des espaces de vie et de travail où vivre comme à Nazareth devient
un moyen d’évangélisation et de promotion qui lui permet de voir
sa dignité reconnue.
La mission de Bonifacia n’a pas pris fin: de Dieu elle veille pour
la dignité de toutes les travailleuses du monde.