domingo, 23 de octubre de 2011

Misa de Canonización de Beatos - 23.10.2011 - 1ª Parte (Biografías)


23/10/2011 CANONIZACION BONIFACIA RODRIGUEZ DE CASTRO




Popular Televisión R.Murcia

Publicado el 23 oct. 2011


I

PROFILO BIOGRAFICO
DEI BEATI


GUIDO MARIA CONFORTI
(1865-1931)
VESCOVO
FONDATORE DELLA PIA SOCIETÀ
DI SAN FRANCESCO SAVERIO PER LE MISSIONI ESTERE



LUIGI GUANELLA
PRESBITERO
FONDATORE DELLA CONGREGAZIONE DEI SERVI DELLA CARITÀ
E DELL’ISTITUTO FIGLIE DI SANTA MARIA DELLA PROVVIDENZA



BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO
VERGINE
FONDATRICE DELLA CONGREGAZIONE
DELLE SERVE DI SAN GIUSEPPE










GUIDO MARIA CONFORTI  nasce a Ravadese (Parma - Italia) il 30 marzo 1865. Lo stesso giorno viene battezzato. A 11 anni entra in seminario. Una malattia con manifestazioni di tipo epilettico fa ritardare l’ordinazione sacerdotale. Nel frattempo viene nominato vicerettore del seminario, dimostrando notevoli doti di educatore, ma soprattutto orientando i giovani alla santità con la testimonianza di una vita vissuta nella luce della fede. Riacquistata la salute, nel 1888 viene ordinato presbitero. Giovanissimo sacerdote, gli viene conferito l’incarico di “Direttore della Pia Opera della Propagazione della Fede”. Non ancora trentenne è chiamato a ricoprire l’ufficio di Vicario Generale.

Non avendo potuto seguire, per ragioni di salute, la vocazione missionaria alla quale si sentiva chiamato, nel 1895 fonda la Pia Società di S. Francesco Saverio per le Missioni Estere (Missionari Saveriani) con lo scopo unico ed esclusivo della evangelizzazione dei non cristiani. Nel 1899 invia i primi due missionari in Cina, seguiti negli anni da tanti altri.

Nel 1902, a soli 37 anni, viene chiamato da Papa Leone XIII a reggere l’Arcidiocesi di Ravenna. Per essere totalmente ed esclusivamente donato a Cristo e consacrato senza riserve al bene delle anime, il giorno della consacrazione episcopale emette i voti religiosi perpetui. Per due anni spende tutte le sue energie per il bene della diocesi, ma la salute non regge. Per senso di responsabilità verso il gregge a lui affidato, presenta le dimissioni che il Papa Pio X accetta. Ritorna quindi al suo Istituto dove si dedica alla formazione dei suoi allievi missionari.

Ristabilitosi in salute, nel 1907 il Papa gli chiede di reggere la Diocesi di Parma. Per oltre 24 anni egli ne è il buon pastore. Promuove l’istruzione religiosa, fino a farne il punto capitale del suo impegno pastorale; istituisce scuole di dottrina cristiana in tutte le parrocchie; prepara catechisti e catechiste con appositi corsi di cultura religiosa e di pedagogia dell’insegnamento e, primo in Italia, celebra una settimana catechetica. Affrontando fatiche e disagi senza numero, compie quattro volte la visita pastorale recandosi fino nelle più piccole parrocchie. Una quinta visita pastorale è interrotta dalla morte. Celebra due sinodi diocesani, istituisce e promuove le associazioni cattoliche, la buona stampa, le missioni al popolo, Congressi Eucaristici, Mariani e Missionari, Convegni di Azione Cattolica. Cura in modo singolare la formazione del clero non meno che quella dei laici.

Nulla trascurando del suo servizio pastorale alla diocesi, si prodiga per l’annuncio del Vangelo ai non cristiani, sia attraverso la cura della Famiglia missionaria da lui fondata e di cui è Superiore generale, che appoggiando ogni iniziativa di animazione missionaria in Italia. Nel 1916 collabora alla fondazione dell’Unione Missionaria del Clero, di cui è il primo presidente per dieci anni. Nel 1928 egli stesso si reca in Cina, in visita ai suoi missionari e alle cristianità loro affidate.

Il 5 novembre 1931 si addormenta nel Signore. Il suo funerale vede un concorso straordinario di popolo.

La fama delle sue virtù e della sua santità da Parma si espande in tutti i paesi dove operano i Saveriani. I due miracoli per la beatificazione e la canonizzazione, infatti, hanno luogo rispettivamente in Burundi e in Brasile.

La sua santità consiste nell’umile, fedele, costante adempimento della volontà di Dio in ogni momento della vita e nello zelo ardente per la salvezza di tutti gli uomini. La sua fede viva traspariva da ogni parola e da ogni atto; la fiducia illimitata nella Divina Provvidenza era il sostegno in ogni tribolazione; la sua inesauribile carità verso Dio e verso i fratelli e il desiderio della loro salvezza era visibile a tutti.

Egli era convinto che la Chiesa è missionaria per sua stessa natura e, quindi, che ogni cristiano, ciascuno secondo la propria vocazione, le proprie possibilità e i propri mezzi, deve collaborare perché il Vangelo raggiunga gli ultimi confini della terra. La sua stessa vita testimonia che ogni comunità cristiana deve «allargare la vasta trama della carità sino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che si ha per coloro che sono membri della propria comunità» (AG 37) e che un vescovo «è consacrato non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza del mondo intero» (AG 38).

È stato beatificato in San Pietro da Papa Giovanni Paolo II il 17 marzo 1996. Sua Santità Benedetto XVI nel Concistoro pubblico del 21 febbraio 2011 decide di iscriverlo nel novero dei santi.


GUIDO MARIA CONFORTI  was born in Ravadese (Parma - Italy) on 30 March 1865 and was baptized on the same day. He joined the seminary when he was 11 years old. An illness with epileptic symptoms delayed his ordination to the priesthood. In the meantime, he was appointed vice-rector of the seminary, showing remarkable talent as a formator, but above all guiding the young seminarians to holiness through the witness of a life lived in the light of faith. When he recovered his health, he was ordained priest in 1888. As a very young priest, he was appointed “Director of the Society for the Propagation of the Faith”. He was made Vicar General of the Diocese of Parma when he was not yet thirty years old.

Since poor health prevented him from pursuing the missionary vocation to which he felt called, in 1895 he founded the St. Francis Xavier Foreign Missions Society (Xaverian Missionaries) with the sole and exclusive purpose of evangelizing the non-Christians. In 1899 he sent his first two missionaries to China and these were subsequently followed by many others.

In 1902, when he was just 37 years old, Pope Leo XIII appointed Conforti Archbishop of Ravenna. In order to dedicated himself totally to Christ, and consecrate his entire life to the good of souls, he made his perpetual religious profession on the day of his ordination as a bishop. For two years he invested all his energy for the good of the archdiocese, but the effort was too much for his poor health. His sense of responsibility towards his flock led him to offer his resignation, which was accepted by Pope Pius X. Conforti then returned to his Institute where he dedicated himself to the formation of his missionary students.

When his health improved, in 1907, the Pope asked him to govern the diocese of Parma. For more than 24 years he served the diocese as its good shepherd. He promoted religious instruction, making it the priority of his pastoral ministry; he established schools of Christian doctrine in all the parishes; he provided for the training of male and female catechists with special courses in religious culture and the pedagogy of teaching and, the first in Italy, he celebrated a Catechetics Weeks. Enduring all kinds of difficulties and hardships, he carried out four pastoral visits to the diocese, traveling to the most distant parishes, whilst a fifth pastoral visit was interrupted by his death. He held two diocesan synods, set up and promoted the Catholic Associations, the good press, popular missions, Eucharistic, Marian and Missionary Congresses and the Conferences of the Catholic Action. He took special care of the formation of the clergy and the laity.

He neglected nothing that concerned his pastoral service to the diocese and did everything he could to promote the proclamation of the Gospel to the non-Christians, through taking care of the missionary Family he founded, and of which he was Superior General, as well as supporting every missionary animation initiative in Italy.

In 1916 he collaborated in the foundation of the Missionary Union of the Clergy, serving for ten years as its first president. In 1928 he traveled to China to visit his missionaries and the Christian communities entrusted to them.

He died in the peace of the Lord on 5 November 1931 and his funeral was attended by an extraordinary number of people.

The fame of his virtues and holiness spread from Parma to all the countries where the Xaverians are working. Indeed, the two miracles for his beatification and canonization took place, respectively, in Burundi and Brazil.

His holiness consists in the humble, faithful and constant fulfillment of God’s will in every moment of life and in his burning zeal for the salvation of all. His living faith shone through his every word and action; his unlimited trust in Divine Providence sustained him in all his trials and tribulations; his inexhaustible love for God and others, and the desire for their salvation, were visible to all.

He was convinced that the Church is missionary by her very nature and, therefore, that every Christian, each one according to his/her own vocation, possibilities and means, must work to ensure that the Gospel reaches the ends of the earth. Conforti’s own life bore witness to the fact that every Christian community must «extend the range of its charity to the ends of the earth, and devote the same care to those afar off as it does to those that are its own members» (AG 37) and that a bishop «is consecrated not just for some one diocese, but for the salvation of the entire world» (AG 38).

He was beatified in St. Peter’s by Pope John Paul II on 17 March 1996. In the public consistory of 21 February 2011, Pope Benedict XVI decided to include his name in the book of saints.


GUIDO MARIA CONFORTI  naquit à Ravadese (Parme - Italie) le 30 mars 1865. Il fut baptisé le même jour. A l’âge de 11 ans, il entra au Séminaire. Une maladie présentant des manifestations de type épileptique fit repousser son ordination sacerdotale. Entre temps, il fut nommé vice-recteur du Séminaire, faisant preuve de remarquables dons d’éducateur mais surtout sachant orienter les jeunes vers la sainteté par le témoignage d’une vie vécue à la lumière de la foi. Une fois rétabli, il fut ordonné prêtre en 1888. Très jeune prêtre, il reçut la charge de «Directeur de la Pieuse OEuvre de la Propagande de la Foi» et alors qu’il n’avait pas encore trente ans, il fut appelé à occuper l’office de Vicaire Général.

N’ayant pu, pour raisons de santé, suivre la vocation missionnaire à laquelle il se sentait appelé, il fonda en 1895 la Pieuse Société de Saint François Xavier pour les Missions Etrangères (Missionnaires Xavériens) avec pour but unique et exclusif l’évangélisation des non chrétiens. En 1899, il envoya les deux premiers missionnaires en Chine, missionnaires qui furent suivis de nombreux autres au cours des années.

En 1902, à l’âge de 37 ans seulement, il fut appelé par le Pape Léon XIII à gouverner l’Archidiocèse de Ravenne. Afin d’être totalement et exclusivement donné au Christ et consacré sans réserve au bien des âmes, il prononça, le jour de sa consécration épiscopale, les voeux religieux perpétuels. Pendant deux ans, il dépensa toute son énergie pour le bien du Diocèse mais sa santé déclina. Par sens de responsabilité envers le troupeau qui lui avait été confié, il présenta sa démission au Pape Pie X, qui l’accepta. Il revint ainsi à son Institut où il se dédia à la formation de ses élèves missionnaires.

Une fois rétabli, en 1907, le Pape lui demanda de gouverner le Diocèse de Parme. Pendant plus de 24 ans, il en fut le bon pasteur. Il promut l’instruction religieuse, jusqu’à en faire le point capital de son engagement pastoral. Il institua des écoles de doctrine chrétienne dans toutes les Paroisses. Il prépara des catéchistes – hommes et femmes – par le biais de cours de culture religieuse et de pédagogie de l’enseignement ad hoc et fut le premier en Italie à célébrer une semaine catéchétique. Affrontant des fatigues et des désagréments sans nombre, il accomplit à quatre reprises la visite pastorale, se rendant jusque dans les plus petites paroisses. Une cinquième visite pastorale fut interrompue par sa mort. Il célébra deux Synodes diocésains, institua et promut les associations catholiques, la bonne presse, les missions au peuple, les Congrès eucharistiques, mariaux et missionnaires, ainsi que les colloques de l’Action catholique. Il eut particulièrement à coeur la formation du Clergé ainsi que celle des laïcs.

Ne négligeant rien de son service pastoral en faveur du Diocèse, il se prodigua pour l’annonce de l’Evangile aux non chrétiens tant en s’occupant de la Famille missionnaire qu’il avait fondé et dont il fut le Supérieur Général, qu’en appuyant toute initiative d’animation missionnaire en Italie. En 1916, il collabora à la fondation de l’Union Missionnaire du Clergé dont il fut pendant 10 ans le premier Président. En 1928, il se rendit lui-même en Chine, en visite à ses missionnaires et aux chrétientés leur confiées.

Il s’endormit dans le Seigneur le 5 novembre 1931. Ses obsèques furent caractérisées par une participation extraordinaire.

La réputation de ses vertus et de sa sainteté se répandit à partir de Parme dans tous les pays où oeuvrent les Xavériens. Les deux miracles pour sa béatification et sa canonisation ont en effet eu lieu respectivement au Burundi et au Brésil.

Sa sainteté consiste dans l’accomplissement humble, fidèle et constant de la volonté de Dieu à chaque instant de sa vie et dans le zèle ardent pour le salut de tous les hommes. Sa foi vive transparaissait dans ses paroles et actes. Sa confiance illimitée en la Divine Providence était le soutien de toutes ses tribulations. Son inépuisable charité envers Dieu et envers ses frères ainsi que le désir de leur salut était visible de tous.

Il était convaincu du fait que l’Eglise est missionnaire par nature et que tout chrétien, selon sa propre vocation, ses possibilités et moyens, doit collaborer afin que l’Evangile parvienne jusqu’aux extrémités de la terre. Sa vie même témoigne du fait que chaque communauté chrétienne doit «étendre le rayon de sa charité jusqu’aux extrémités de la terre, et avoir, pour ceux qui sont loin, une sollicitude semblable à celle qu’elle a pour ceux qui sont ses propres membres» (AG 37) et qu’un Evêque est «consacré non seulement pour un diocèse déterminé, mais pour le salut du monde entier» (AG 38).

Il a été béatifié en la Basilique Saint Pierre par le Bienheureux Pape Jean Paul II le 17 mars 1996. Au cours du Consistoire public du 21 février 2011, Sa Sainteté Benoît XVI a décidé de l’inscrire au nombre des saints.


GUIDO MARIA CONFORTI  nació el 30 de marzo de 1865 en Ravadase (Parma - Italia). Fue bautizado el mismo día de su nacimiento. A los 11 años entró en el seminario. Pero por causa de una enfermedad con síntomas de tipo epiléptico, tubo que retrasar su ordenación sacerdotal. Mientras tanto fue nombrado vicerrector del seminario mostrando notables dotes de educador, pero sobretodo orientando los jóvenes a la santidad con su testimonio de una vida vivida a la luz de la fe. Una vez recuperada la salud, en 1888 fue ordenado presbítero. Siendo aún un jovencísimo sacerdote se le confirió el encargo de “Director de la Pía Obra de la Propagación de la Fe”. Cuando todavía no había cumplido los treinta años fue llamado a ocupar el cargo de Vicario General.

No pudiendo seguir, por razones de salud, la vocación misionera a la cual se sentía llamado, en 1895, fundó la Pía Sociedad de S. Francisco Javier para las Misiones Extranjeras (los Misioneros Javerianos), dedicada exclusivamente a la evangelización de los no cristianos. En 1899 envió a los dos primeros misioneros a la China, a los que siguieron muchos otros a los largo de los años.

En 1902, cuando tenía tan solo 37 años, el Papa León XIII lo llamó a guiar la Archidiócesis de Ravenna. Para estar totalmente y exclusivamente entregado a Cristo y consagrado sin reservas al bien de las almas, el día de su ordenación episcopal emitió la profesión perpetua de sus votos religiosos. Durante dos años consumió todas sus energías por el bien de la diócesis, pero su salud no lo soportó. Su profundo sentido de responsabilidad hacia el rebaño que le había sido confiado le llevó a presentar la dimisión que fue aceptada por el Papa Pio X. Regreso a su instituto donde se dedicó a la formación de sus jóvenes misioneros.

Una vez recobrada la salud, en 1907, el Papa le encargó la Diócesis de Parma, de la que fue el buen pastor durante más de 24 años. Promovió la educación religiosa, hasta convertirla en el punto central de su compromiso pastoral; instituyó las escuelas de la doctrina cristiana en todas las parroquias; preparó a los catequistas con cursos apropiados de cultura religiosa y de pedagogía de la educación y fue el primero en Italia que celebró una semana catequética. Afrontando grandes fatigas e incomodidades realizó cuatro visitas pastorales viajando hasta las parroquias más remotas. La muerte interrumpió su quinta visita pastoral. Celebró dos sínodos diocesanos, instituyó y promovió las asociaciones católicas, la buena prensa, las misiones populares, los Congresos Eucarísticos, Marianos, Misioneros y de la Acción Católica. Cuidó de manera especial la formación del clero así como la de los laicos.

Sin descuidar nada de su servicio pastoral a la diócesis, se entregó incansablemente al anuncio del Evangelio a los no cristianos, ya sea a través del cuidado de la Familia misionera que había fundado y de la que era Superior General, que apoyando toda iniciativa de animación misionera en Italia. En 1916 colaboró en la fundación de la Pontificia Unión Misionera del Clero, de la que fue su primer presidente durante diez años. En 1928, él mismo viajó a China para visitar a sus misioneros y a las comunidades a ellos confiadas.

El 5 de noviembre de 1931, entró en la Casa del Padre. A su funeral asistieron un sin número de personas.

La fama de su virtud y de su santidad se extendió desde Parma a todos los países donde se encontraban los Javerianos. De hecho, los dos milagros para la beatificación y canonización han sucedido en Burundi y en Brasil.

Su santidad consiste en el humilde, fiel, constante cumplimiento de la voluntad de Dios en cada momento de su vida y en su celo ardiente por la salvación de todos los hombres. Su fe viva se reflejaba en cada una de sus palabras y acciones; su confianza ilimitada en la Divina Providencia era su apoyo en todas sus tribulaciones; su inagotable caridad hacia Dios y hacia los hermanos y el deseo de su salvación eran visibles a todos.

Estaba convencido de que la Iglesia es misionera por su misma naturaleza y que por lo tanto todo cristiano debe colaborar, cada uno según su propia vocación, posibilidades, y medios, para que el evangelio llegue hasta los confines de la tierra. Su vida da testimonio de que toda comunidad cristiana debe “extender la vasta trama de la caridad hasta los últimos confines de la tierra, demostrando por aquellos que están lejos, la misma solicitud que se tiene por aquellos que son miembros de la misma comunidad” (AG 37) y que un Obispo “ha sido consagrado no solamente para una Diócesis, sino para la salvación de todo el mundo” (AG 38).

El 17 de marzo de 1996, fue beatificado en San Pedro por el Papa Juan Pablo II. Su Santidad Benedicto XVI en el consistorio público del 21 de febrero de 2011 decidió inscribirlo en el Canon de los Santos.


GUIDO MARIA CONFORTI  nasceu em Ravadese (Parma - Itália) no dia 30 de março de 1865. Foi batizado no mesmo dia. Aos 11 anos, ingressou no seminário. Uma doença com sintomas de tipo epilético atrasou sua ordenação. Entretanto, foi nomeado vice-reitor do seminário, demonstrando notáveis dotes como educador, mas principalmente, orientando os jovens à santidade com o testemunho de uma vida de fé. Com a saúde recuperada, foi ordenado presbítero em 1888. Jovem sacerdote, foi nomeado “Diretor da Pia Obra da Propagação da Fé”. Antes de completar trinta anos, foi chamado a ser Vigário Geral.

Por motivos de saúde, não podendo realizar a vocação missionária à qual se sentia chamado, em 1895, fundou a Pia Sociedade de São Francisco Xavier para as Missões Além Fronteiras (Missionários Xaverianos) com o único objetivo de evangelizar os não-cristãos. Em 1899, enviou os primeiros dois missionários à China, e nos anos sucessivos, muitos outros os seguiram.

Em 1902, com apenas 37 anos, foi chamado pelo Papa Leão XIII a dirigir a Arquidiocese de Ravenna. Doou-se total e exclusivamente a Cristo e consagrou-se sem reservas ao bem das almas. Assim, no dia da consagração episcopal, emitiu os votos religiosos perpétuos. Durante dois anos, dedicou todas as suas energias ao bem da Diocese, mas sua saúde acabou cedendo. Sentindo-se responsável pelo rebanho a ele confiado, apresentou renúncia, aceita pelo Papa Pio X, e voltou a seu Instituto, onde se dedicou à formação de seus alunos missionários.

Com a saúde restabelecida, em 1907 o Papa lhe confiou a Diocese de Parma. Foi um bom pastor por mais de 24 anos. Promoveu a instrução religiosa ao ponto de transformá-la em ponto crucial de seu empenho pastoral; instituiu escolas de doutrina cristã em todas as paróquias; preparou catequistas com cursos específicos de cultura religiosa e de pedagogia do ensinamento e, pioneiro na Itália, celebrou uma semana catequética. Enfrentando fadigas e inúmeras dificuldades, realizou quatro visitas pastorais, indo às paróquias mais remotas. A quinta visita pastoral foi interrompida pela morte. Celebrou dois sínodos diocesanos, instituiu e promoveu associações católicas, a boa imprensa, as missões populares, Congressos Eucarísticos, Marianos, Missionários e da Ação Católica. Zelou de modo especial pela formação do clero, assim como a dos leigos.

Sem descuidar de seu serviço pastoral na Diocese, empenhou-se no anúncio do Evangelho aos não-cristãos, seja através da atenção à Família missionária, por ele fundada e da qual foi Superior Geral, como apoiando todas as iniciativas de animação missionária na Itália. Em 1916, colaborou na fundação da União Missionária do Clero, da qual foi o primeiro presidente por dez anos. Em 1928 foi pessoalmente à China, visitar os confrades e as comunidades cristãs a eles confiadas.

No dia 5 de novembro de 1931 adormeceu no Senhor. Seus funerais registraram extraordinária participação popular.

A fama de suas virtudes e de sua santidade estendeu-se de Parma a todos os países onde atuam os Xaverianos. Os dois milagres para a beatificação e a canonização verificaram-se, com efeito, no Burundi e no Brasil.

Sua santidade consiste no humilde, fiel e constante cumprimento da vontade de Deus em todos os momentos de sua vida e no ardente zelo pela salvação de todos os homens. Sua fé viva transparecia em cada sua palavra e gesto; a confiança ilimitada na Divina Providência foi sustento para suas tribulações; sua inexaurível caridade para com Deus e os irmãos, além do desejo de sua salvação, eram visíveis a todos.

Estava convencido de que a Igreja é missionária por sua própria natureza e, portanto, que todo cristão, conforme a sua vocação, possibilidades, e meios, deve colaborar para que o Evangelho chegue até os últimos confins da terra. Sua vida testemunha que toda comunidade cristã deve “ampliar a vasta trama da caridade até os confins da terra, demonstrando, em relação aos mais distantes, a mesma solicitude expressa aos membros da própria comunidade” (AG 37) e que um Bispo “é consagrado não apenas para sua Diocese, mas para a salvação do mundo inteiro” (AG 38).

Foi beatificado em São Pedro pelo Papa João Paulo II no dia 17 de março de 1996. Sua Santidade Bento XVI no consistório público do 21 de fevereiro de 2011 decidiu incluí-lo no livro dos santos.




LUIGI GUANELLA (1842-1915)  La vita di don Luigi Guanella fu una lunga rincorsa per rendersi presente dove c’era un grido d’aiuto e un soccorso da offrire; una sensibilità coltivata sin dall’infanzia.

Luigi Guanella nacque a Fraciscio, frazione del comune di Campodolcino, diocesi di Como, il 19 dicembre 1842. II giorno seguente gli fu amministrato il sacramento del Battesimo.

I genitori, Lorenzo e Maria Bianchi, furono cristiani esemplari, dediti alla famiglia, al lavoro dei campi e alla pastorizia. Era abitudine non solo la recita del Santo Rosario, ma anche la lettura della vita dei santi, esperienza che caratterizzò l’attività apostolica della sua esistenza.

Dopo gli studi nel seminario a Como, il 26 maggio 1866 ricevette la consacrazione sacerdotale e, l’anno dopo l’ordinazione, fu nominato parroco a Savogno. Durante i sette anni di zelante ministero ebbe contatto con don Bosco e l’istituzione del Cottolengo a Torino. Desideroso di un’esperienza religiosa più radicale, nel 1875 si recò da don Bosco, emettendo i voti religiosi per un triennio. Il vescovo di Como lo richiamò in diocesi e don Guanella tornò con il sogno di fondare un’istituzione che raccogliesse ragazzi bisognosi. Aprì una scuola che successivamente dovette chiudere per ostilità delle autorità civili.

«L’ora della misericordia», come chiamava don Guanella il momento propizio del favore divino, scoccò nel novembre 1881 quando arrivò a Pianello Lario come parroco, dove trovò un gruppo di ragazze dedite all’assistenza dei bisognosi.

Quel gruppo di giovani donne diventerà la fonte della nuova congregazione: le Figlie di Santa Maria della Provvidenza.

Lo zelo e la carità apostolica di don Luigi incrementarono l’opera benefica sino a permettere di espandere l’attività nel cuore della stessa città di Como. Esse iniziarono l’attività della «Casa Divina Provvidenza», divenuta poi la Casa Madre delle due congregazioni, quella femminile e quella maschile.

Insieme ai poveri aumentarono anche le braccia e i cuori per assisterli e amarli. Accanto alla Congregazione delle suore, don Guanella raccolse anche un gruppo di sacerdoti che chiamò «Servi della Carità».

«Fermarsi non si può fin quando ci sono poveri da soccorrere», ripeteva spesso nei suoi pellegrinaggi nelle piaghe della povertà. Per questo le due congregazioni religiose andavano diffondendosi in varie regioni italiane e nella vicina Confederazione Elvetica nel Canton Grigioni e Canton Ticino. Nel 1904 il Beato Luigi Guanella realizzò il sogno di arrivare nella città santa, Roma, per essere accanto al Papa e dimostrare la sua fedeltà alla Chiesa grazie ad una testimonianza luminosa di carità e ardore apostolico.

San Pio X, che aveva compreso la grandezza d’animo di don Guanella, lo stimò e gli affidò il desiderio di costruire una chiesa dedicata al Transito di San Giuseppe. Accanto alla parrocchia sorse così anche la Pia Unione del Transito di San Giuseppe, un’associazione di preghiere per i morenti. San Pio X volle essere il primo degli iscritti. Lo zelo missionario lo spinse nell’America del Nord tra gli emigranti italiani. Nel dicembre del 1912 all’età di settant’anni don Guanella si imbarcò e raggiunse gli Stati Uniti.

L’ultimo intervento straordinario nella vita di don Guanella fu nel gennaio 1915, quando volle rimanere a Roma per essere di aiuto ai terremotati dell’Abruzzo. Al suo fianco operò con zelo il venerabile Aurelio Bacciarini, primo parroco di San Giuseppe, suo successore al governo della Congregazione dei Servi della Carità e poi chiamato al ministero episcopale nella diocesi di Lugano in Svizzera.

Gli acciacchi della vecchiaia, l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, l’impegno di alcuni confratelli al fronte militare, minarono la sua salute.

Nei suoi scritti don Guanella aveva lasciato questo messaggio: «la morte è come una madre che si abbraccia il figlio […], è l’angelo che ci riconduce alla patria». Quella madre, lucente come un angelo, passò alle ore 14,15 di quella domenica 24 ottobre 1915. E fu una domenica senza tramonto.


The life of Fr. Aloysius (Fr. Luigi by the Servants of Charity) was a long run to be present wherever there was a cry for help and there was help to be offered; a sensibility he cultivated since childhood.

ALOYSIUS GUANELLA  was born in Fraciscio, an outlying district of the municipality of Campodolcino in the Diocese of Como, on December 19, 1842. On the following day he received the sacrament of Baptism.

His parents, Lorenzo and Maria Bianchi, were exemplary Christians dedicated to the family, to their work in the fields and to sheep and cattle farming. They were accustomed not only to reciting the Holy Rosary but also to reading the lives of the saints, an experience that was to characterize the apostolic activity of Aloysius throughout his life.

Having completed his studies at the seminary in Como, he was ordained a priest on May 26, 1866 and the year after his ordination he was appointed parish priest of Savogno. During his seven years as a zealous minister he came into contact with Don Bosco and Cottolengo’s institution in Turin. Eager to have a more radical religious experience, in 1875 he entered Don Bosco’s Order, making religious vows for three years. The Bishop of Como recalled him to the diocese and Fr. Guanella returned with the dream of founding an institution that would take in needy boys. He opened a school which he was subsequently obliged to close because of the hostility of the civil authorities.

“The hour of mercy”, as Fr. Guanella called the propitious moment of divine favor, struck in November 1881 when he arrived in Pianello Lario as parish priest. Here he found a group of girls dedicated to providing help for the needy.

This group of young women was to become the kernel of the new congregation: the Daughters of St. Mary of Providence.

Fr. Aloysius’ zeal and apostolic built up the beneficial work until it was able to expand its activity in the heart of the city of Como itself. The young women began the activities of the “House of Divine Providence”, which later became the Mother House of the two, female and male, congregations.

They opened both their arms and hearts to the poor, to help them and to love them. Alongside the Congregation of Sisters, Fr. Guanella also gathered a group of priests whom he called “Servants of Charity”.

“It is impossible to stop as long as there are poor people to be helped”, he would frequently repeat on his pilgrimages to the wounds of poverty. For this reason both religious congregations continued to spread in various Italian regions and to the Cantons of Grisons (Grigioni) and Ticino in the neighboring Swiss Confederation. In 1904 Aloysius Guanella realized his dream of reaching the holy city, Rome, to be closer to the Pope and to show his fidelity to the Church through a luminous witness of charity and apostolic fervor.

St. Pius X had understood the greatness of Fr. Guanella’s mind, held him in high esteem and entrusted to him his wish to build a church dedicated to the Transito di San Giuseppe [happy death of St. Joseph]. Beside the parish church the Pious Union of the Transito di San Giuseppe, an association of prayer for the dying, sprang up. St. Pius X wanted to be its first member.

His missionary zeal impelled him to go to the Italian immigrants in North America. In December 1912, at the age of 70, Fr. Guanella embarked on a ship bound for the United States.

The last extraordinary intervention in Fr. Guanella’s life was in January 1915, when he chose to stay in Rome to help the victims of the earthquake in the Abruzzo. He had beside him working with zeal Venerable Aurelio Bacciarini, the first parish priest of St. Joseph Parish and his successor in the governance of the Congregation of the Servants of Charity, who was later called to the episcopal ministry in the Swiss Diocese of Lugano.

The infirmities of old age, Italy’s entry into the First World War and the involvement of several of his confreres on the military front undermined his health.

In the booklets Fr. Guanella bequeathed to us he wrote: “death is like a mother who embraces her son […] she is the angel who takes us to our homeland”. That mother, bright as an angel, passed at 2:15 p.m. on Sunday, 24 October 1915. And it was a Sunday on which the sun never set.


LUIS GUANELLA  La vida de don Luis Guanella fue un largo impulso para hacerse presente donde había un grito de ayuda y un socorro que ofrecer; una sensibilidad cultivada ya desde la infancia.

Luis Guanella nació en Fraciscio, fracción del municipio de Campodolcino, diócesis de Como, el 19 de diciembre de 1842. Al día siguiente le fue administrado el sacramento del Bautismo. Los padres, Lorenzo y María Bianchi, fueron cristianos ejemplares, entregados a la familia, al trabajo de los campos y la ganadería. Acostumbraban a rezar en familia el Santo Rosario y leían juntos la vida de los santos, experiencia que caracterizó la actividad apostólica de su existencia.

Terminados los estudios en el seminario de Como, el 26 de mayo de 1866 recibió la consagración sacerdotal y al año siguiente fue nombrado párroco en Savogno. Durante los siete años de ferviente ministerio tuvo contacto con don Bosco y la institución del Cottolengo en Turín. Deseoso de una experiencia religiosa más radical, en 1875 se fue junto a don Bosco, emitiendo los votos religiosos por un trienio. El obispo de Como lo volvió a llamar a la diócesis y don Guanella regresó con el sueño de fundar una institución que recogiera a chicos necesitados. Abrió una escuela que después tuvo que cerrar a causa de la hostilidad de las autoridades civiles.

“La hora de la misericordia”, como llamaba don Guanella al momento propicio del favor divino, surgió en noviembre de 1881 cuando llegó a Pianello Lario como párroco, dónde encontró un grupo de jóvenes entregadas a la asistencia de los pobres.

Ese grupo de jóvenes mujeres se convertirá en el inicio de la nueva congregación: las Hijas de Santa María de la Providencia.

El celo y la caridad apostólica de don Luis incrementaron la obra benéfica hasta permitir la difusión de la actividad en el corazón de la misma ciudad de Como. Ellas iniciaron la actividad de la “Casa divina Providencia”, que serà la Casa Madre de las dos Congregaciones, la femenina y la masculina.

Junto a los pobres también aumentaron los brazos y los corazones para asistirlos y amarlos. Además de la Congregación de las Hermanas, don Guanella también formó un grupo de sacerdotes que llamó “Siervos de la Caridad”.

“No se puede parar mientras haya pobres para socorrer”, repetía a menudo en sus peregrinaciones por curar las llagas de las pobrezas. Por este motivo las dos Congregaciones religiosas se iban difundiendo en varias regiones italianas y en la cercana Confederación Helvética en el Cantón Grigioni y Cantón Ticino. En 1904 san Luis Guanella realizó el sueño de llegar a la ciudad santa, Roma, para estar junto al Papa y demostrar su fidelidad a la Iglesia, gracias a un testimonio luminoso de caridad y ardor apostólico.

San Pío X había comprendido la grandeza de ánimo de don Guanella, lo estimó y le confió el deseo de construir una iglesia dedicada al Tránsito de San José. Junto a la parroquia también surgió la Pía Unión del Tránsito de San José, una asociación de oraciones por los moribundos. San Pío X quiso ser el primero de los inscritos.

El celo misionero lo empujó a América del Norte, entre los emigrantes italianos. En diciembre de 1912, a la edad de setenta años, don Guanella se embarcó y llegó a los Estados Unidos.

La última intervención extraordinaria en la vida de don Guanella fue en enero de 1915, cuando quiso permanecer en Roma para ayudar a las víctimas del terremoto del Abruzzo. Trabajó con celo a su lado el venerable Aurelio Bacciarini, primer párroco de San José, su sucesor en el gobierno de la Congregación de los Siervos de la Caridad y llamado después al ministerio episcopal en la diócesis de Lugano, Suiza.

Los achaques de la vejez, la entrada de Italia en la primera guerra mundial, la marcha de algunos cohermanos al frente militar, minaron su salud.

Don Guanella dejó en sus escritos esta consideración: “la muerte es como una madre que se abraza al hijo […], es el ángel que nos reconduce a la patria”. Aquella madre, brillante como un ángel, pasó a las 14,15 de aquel domingo 24 de octubre de 1915. Y fue un domingo sin ocaso.


A vida de Pe. Guanella foi uma contínua busca em marcar presença onde houvesse um grito de auxílio e um socorro a oferecer; uma sensibilidade cultivada desde a infância.

Pe. Guanella  nasceu em Frascicio, distrito de Campodolcino, diocese de Como, em data de 19 de dezembro de 1842; no dia seguinte recebeu o sacramento do Batismo.

Os pais, Lorenzo e Maria Bianchi, foram cristãos exemplares, dedicados à família, ao trabalho dos campos e ao pastoreio. Tinham por hábito não apenas a recitação do Santo Rosário, mas também a leitura da vida dos santos, experiência essa que caracterizou a atividade apostólica da sua existência.

Após os estudos no Seminário de Como recebeu a consagração sacerdotal e, após um ano foi, nomeado pároco de Savogno. Durante sete anos de zeloso ministério manteve contato com Dom Bosco e a instituição do Cottolengo, em Turim. Em 1875 – almejando uma experiência religiosa mais radical – foi estar ter com Dom Bosco e emitiu os votos por um triênio. O bispo solicitou seu retorno à Diocese e ele voltou com o sonho de fundar uma instituição que acolhesse crianças necessitadas. Abriu uma escola, mas teve que fechá-la em seguida, devido à hostilidade das autoridades civis.

A “hora da misericórdia” – assim Pe. Guanella definia o momento propício da condescendência divina – soou em novembro de 1881 quando chegou a Pianello Lário para assumir a Paróquia. Ali encontrou um grupo de jovens, empenhadas em assistir os necessitados.

Aquele grupo de jovens mulheres tornar-se-á a fonte da nova Congregação: as Filhas de Santa Maria da Providência.

O zelo e a caridade apostólica de Pe. Guanella incrementaram a obra beneficente a tal ponto de expandir a atividade em Como, no coração da cidade. Elas iniciaram a atividade da “Casa Divina Providência”, que se tornou a Casa Mãe das duas Congregações, a feminina e a masculina.

Juntamente com os pobres aumentaram igualmente os braços e os corações para assisti-los e amá-los. Junto com à Congregação das Irmãs, Pe. Guanella reuniu também um grupo de sacerdotes: os Servos da Caridade.

“Não se pode parar enquanto houver pobres a socorrer”, costumava repetir em suas peregrinações às chagas da pobreza. Por isso mesmo as duas Congregações se difundiam em várias regiões italianas e, até mesmo, na vizinha Confederação Helvética: Cantão dos Grisões e Cantão Ticino. Em 1904 São Luís Guanella realizou o sonho de aportar à cidade santa de Roma para estar próximo ao Papa e demonstrar a sua fidelidade à Igreja, graças a um testemunho luminoso de caridade e ardor apostólico.

São Pio X entendera a grandeza de Pe. Guanella. Por isso o estimou e lhe confiou o desejo de construir uma igreja, dedicada ao “Trânsito de São José”, uma associação de preces pelos agonizantes. São Pio X quis ser o primeiro inscrito.

O zelo apostólico levou-o à América do Norte, em meio aos imigrantes italianos. Em dezembro de 1912 – já com setenta anos – embarcou e chegou aos Estados Unidos.

A última manifestação extraordinária de Pe. Guanella ocorreu em janeiro de 1915 quando quis permanecer em Roma para auxiliar as vítimas do terremoto ocorrido no “Abruzzo”. A seu lado o zelo do Venerável Aurélio Bacciarini, primeiro pároco de São José, seu sucessor à frente da Congregação dos Servos da Caridade e, mais tarde, nomeado bispo da Diocese de Lugano, na Suíça.

As limitações da idade avançada, o envolvimento da Itália na primeira guerra mundial e a convocação de alguns coirmãos para servir o exército abalou sua saúde.

Em seus opúsculos Pe. Guanella nos diz que “a morte assemelha- se a uma mãe que abraça seu filho [...], é o anjo que nos reconduz à pátria”. Aquela mãe, qual anjo de luz, passou às 14,15 horas daquele domingo, 24 de outubro de 1915. E foi um domingo sem ocaso!




BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO (1837-1905)  inicia en el último cuarto del siglo XIX un nuevo camino de espiritualidad, centrado en hermanar la oración con el trabajo en la sencillez de la vida cotidiana, siguiendo a Jesús, trabajador en Nazaret como uno de tantos.

Nace en Salamanca (España) el 6 de junio de 1837. Era la mayor de seis hermanos, su padre era sastre y su madre ama de casa. Al terminar los estudios primarios aprende el oficio de cordonera, con el que comienza a ganarse la vida a los 15 años, a la muerte de su padre. Trabaja primero por cuenta ajena. Superadas las dificultades económicas, establece por su cuenta un sencillo taller de cordonería, pasamanería y otras labores, en el que trabaja con el mayor recogimiento posible.

El testimonio de vida de Bonifacia llama la atención de un grupo de chicas, amigas suyas, que le expresan el deseo de pasar en su compañía las tardes de domingos y festivos para verse libres de las peligrosas diversiones de la época. La casa-taller de Bonifacia se convierte así en un incipiente centro de prevención de la mujer trabajadora decimonónica. Parte de la tarde la dedican a reuniones amistosas, en grupo y a solas con Bonifacia, a la que se confían como a su maestra de espíritu. Otra parte la reservan para rezar a María Inmaculada y a san José, por lo que su taller es también un sencillo centro de espiritualidad mariano-josefina.

En 1870 llega destinado a Salamanca el jesuita catalán Francisco Butinyà y Hospital (Banyoles, Girona 1834-Tarragona 1899) con una gran inquietud apostólica hacia la evangelización del mundo del trabajo. Bonifacia comparte con él su experiencia de fe y, a través de ella, Butinyà entra en contacto con las chicas que se reunían en su casa, la mayor parte trabajadoras manuales como ella. Y el Espíritu le sugiere la fundación de una nueva congregación femenina, orientada a la prevención de la mujer trabajadora, valiéndose de aquellas mujeres trabajadoras. Butinyà invita a Bonifacia a fundar con él las Siervas de san José, a lo que ella accede con docilidad. Y el 10 de enero de 1874, Bonifacia, su madre y otras cinco chicas de la Asociación Josefina comienzan en Salamanca la vida de comunidad.

Se trataba de un novedoso proyecto de vida religiosa femenina, inserta en el mundo del trabajo a la luz de la contemplación de la Sagrada Familia, recreando en las casas de la Congregación el Taller de Nazaret. En él las Siervas de san José ofrecían trabajo a las mujeres pobres que carecían de él, evitando así los peligros que corría su dignidad de mujeres al salir a trabajar fuera de casa. Las religiosas no llevaban hábito, no aportaban dote y trabajaban codo a codo con las laicas en el taller, teniendo caja común. Este proyecto de vida religiosa, arriesgado y audaz, en seguida comienza a ser combatido por el clero diocesano de Salamanca, que no capta la hondura evangélica de esta forma de vida tan cercana al mundo del trabajo.

A los tres meses de la fundación, el fundador, Francisco Butinyà, tiene que dejar Salamanca para no volver. Al año siguiente abandona también Salamanca el obispo, trasladado a la sede episcopal de Barcelona. Bonifacia se ve sola al frente de la Congregación en un ambiente hostil y de incomprensión hacia el nuevo proyecto, considerado por algunos como “cosa de locos”. Dos de los directores de la Congregación, nombrados por el obispo para suceder al padre Butinyà, siembran imprudentemente la división entre las hermanas, algunas de las cuales, apoyadas por ellos, comienzan a oponerse al taller como forma de vida y a la acogida de la mujer trabajadora en él.

En 1882 el director quiere introducir cambios en los fines apostólicos trazados en las Constituciones por el fundador, Francisco Butinyà, pero Bonifacia, la fundadora, no lo consiente. Para desembarazarse de ella, promueve su destitución como superiora de la comunidad aprovechando un viaje a Cataluña, adonde había acudido llamada por Butinyà para procurar la unión con otras casas fundadas por él al regreso del destierro. De vuelta a Salamanca, Bonifacia rinde obediencia a la nueva superiora y se adapta con humildad a la vida comunitaria como una de tantas. Humillaciones, rechazo, desprecios y calumnias recaen sobre ella para hacerla salir de Salamanca, pues el director quería despojarla también de su condición de fundadora y orientadora del Instituto. La única respuesta de Bonifacia es el silencio, la humildad y el perdón, sin ninguna reivindicación ni protesta. Pero no claudica ni se rinde, sino que se mantiene firme.

Como solución al conflicto, propone al obispo de Salamanca una nueva fundación en Zamora. El 25 de julio de 1883, acompañada de su madre, sale hacia esta ciudad, donde es acogida y apoyada por el obispo, el clero y la población en general que valoran y sostienen su obra, incluso a nivel económico. Y en Zamora Bonifacia cumple con toda fidelidad el fin primigenio de la Congregación, recogiendo jóvenes desamparadas y dando asilo a criadas desacomodadas, a las que prepara para una vida de trabajo digno en el que se encontrasen con Dios como trabajadoras cristianas. Crea entre todas las moradoras del Taller relaciones humanas de igualdad, fraternidad y respeto. Bonifacia sigue siendo cordonera, pertenece a su clase social, y pone un extremo cuidado en la educación e instrucción de estas jóvenes que, sirviendo o en taller, tienen que ganar el pan con el sudor de la frente.

Mientras, la casa madre de Salamanca, bajo la guía de los nuevos superiores eclesiásticos, lleva a cabo modificaciones sustanciales en las Constituciones del padre Butinyà y cambia los fines de la Congregación, orientándola hacia la enseñanza. Se desentiende totalmente de Bonifacia y de la casa de Zamora, dejándola sola y aislada, hasta el punto de que, cuando el papa concede en 1901 la aprobación pontificia de la Congregación, queda excluida la comunidad de Zamora.

Ni siquiera este nuevo rechazo la separa de sus hijas de Salamanca, a las que sigue queriendo, nunca sale de sus labios la más pequeña queja.

Bonifacia Rodríguez de Castro es testigo de grandes valores evangélicos:

- Vive el mandamiento del Señor con toda generosidad, haciendo del amor fraterno su sello de identidad y del amor a los pobres su primordial dedicación.

- Dios es para ella un padre amoroso y providente, en el que vive abandonada “llena de fe y confianza” a lo largo de toda su vida. Esta fe y confianza en Dios la hacen resistente y fuerte en las contrariedades.

- Perdona y olvida humillaciones, calumnias e injusticias. Nunca se le oye la menor queja, considerándose dichosa de poder imitar el silencio del Señor y su caridad en perdonar a los que lo crucificaron.

- Madre y maestra de otras mujeres trabajadoras, ellas son “las niñas de sus ojos”, les da por entero la vida, pues por defender la dignidad de la mujer pobre sin trabajo como genuina misión del Instituto padece persecuciones y rechazos.

- Sabe sufrir con la madurez de quien lo espera todo de Dios, sin afligirse ni desconcertarse, “siempre igual, tranquila y bondadosa”, “no se preocupaba más que en agradar a Dios en todas las cosas”.

- Al morir no nos deja grandes obras, nos deja su vida de fiel seguimiento de Jesús, obra maestra del Espíritu en ella.

Fallece en Zamora el 8 de agosto de 1905. El 23 de enero de 1907 la casa de Zamora se incorpora al resto de la Congregación. Pero habrá que esperar a 1941 para que Bonifacia sea reconocida como fundadora.

Su aporte específico a la espiritualidad de la Iglesia es el seguimiento de Jesús en los años de Nazaret, hermanando la oración con el trabajo en la sencillez de la vida cotidiana.

“Hermanar oración y trabajo”, núcleo de su espiritualidad, es una original intuición de Francisco Butinyà que, como buen jesuita, busca actualizar para el mundo del trabajo del siglo XIX el “buscar y hallar a Dios en todas las cosas” de san Ignacio.

El aspecto central de la misión de Bonifacia mira a la prevención de la mujer trabajadora pobre en situación de riesgo, generando espacios de vida y trabajo en los que la vivencia de Nazaret se convierte en un medio de evangelización y promoción que le permite ver reconocida su dignidad.

La misión de Bonifacia no ha terminado: desde Dios vela por la dignidad de todas las trabajadoras del mundo.


BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO (1837-1905)  inizia nell’ultimo quarto del XIX secolo un nuovo cammino di spiritualità, unendo preghiera e lavoro nella semplicità della vita quotidiana, alla sequela di Gesù, operaio a Nazaret, come un uomo qualsiasi.

Nasce a Salamanca (Spagna) il 6 Giugno del 1837. È la primogenita di sei fratelli: il padre è sarto e la madre casalinga. Dopo la scuola elementare impara il mestiere di cordonaia e così comincia a guadagnarsi da vivere, alla morte del padre, all’età di 15 anni. Prima lavora presso terzi. Superate le difficoltà economiche, crea il suo laboratorio, molto semplice, di fabbrica di cordoni, passamanerie e altri manufatti, dove lavora nel maggior raccoglimento possibile.

La testimonianza di vita di Bonifacia colpisce un gruppo di ragazze, sue amiche, che le esprimono il desiderio di passare i pomeriggi domenicali e festivi in sua compagnia, per sentirsi libere dalle pericolose diversioni dell’epoca. La casa-laboratorio di Bonifacia diventa così l’inizio di un centro di prevenzione per la donna lavoratrice del XIX Secolo. Parte del pomeriggio è dedicata a riunioni amichevoli in gruppo o solo con Bonifacia, con cui si confidano considerandola la loro maestra spirituale. Un’altra parte del pomeriggio è dedicata a pregare Maria Immacolata e San Giuseppe, e così il laboratorio è anche un piccolo centro di spiritualità mariana e giuseppina.

Nel 1870 giunge a Salamanca il gesuita catalano Francisco Butinyà y Hospital (Banyoles, Girona 1834-Tarragona 1899) con una forte premura apostolica verso l’evangelizzazione del mondo del lavoro. Bonifacia condivide con lui la sua esperienza di fede e, grazie a lei, Butinyà entra in contatto con le ragazze che si riunivano a casa sua, la maggior parte lavoratrici manuali come lei. E lo Spirito gli suggerisce la fondazione di una nuova congregazione femminile, orientata verso la prevenzione della donna lavoratrice, servendosi di quelle donne. Butinyà invita Bonifacia a fondare con lui le Serve di San Giuseppe, proposta che lei accetta con docilità. Il 10 gennaio del 1874, Bonifacia, sua madre ed altre cinque ragazze dell’Associazione Giuseppina iniziano a Salamanca la vita di comunità.

Si tratta di un nuovo progetto di vita religiosa femminile inserita nel mondo del lavoro alla luce della contemplazione della Santa Famiglia, ricreando nelle case della Congregazione la Bottega di Nazaret. Lì le Serve di San Giuseppe offrono lavoro alle donne povere che ne sono prive, evitando così i pericoli che la loro dignità di donne corre nel lavoro fuori casa. Le religiose non portano l’abito, non consegnano la dote, lavorano gomito a gomito con le laiche nel laboratorio e hanno la cassa in comune. Questo progetto di vita religiosa, rischioso e audace, viene subito ostacolato dal clero diocesano di Salamanca, che non coglie la profondità evangelica di questa vita così vicina al mondo del lavoro.

Tre mesi dopo la fondazione, Francisco Butinyà deve lasciare Salamanca per non ritornare mai più. L’anno dopo anche il vescovo abbandona Salamanca, perché destinato alla sede episcopale di Barcellona. Bonifacia resta sola a capo della Congregazione in un ambiente ostile e di incomprensione verso il nuovo progetto, che alcuni considerano come una “cosa da matti”. Due direttori della Congregazione, nominati dal vescovo per succedere a padre Butinyà, seminano con imprudenza la divisione tra le suore, tanto che alcune, da essi supportate, iniziano ad opporsi al laboratorio artigianale inteso come forma di vita e all’accoglienza al suo interno delle donne lavoranti.

Nel 1882 il direttore vuole introdurre cambiamenti nelle finalità apostoliche tracciate nelle Costituzioni dal fondatore, Francisco Butinyà, ma Bonifacia non lo permette. Per sbarazzarsi di lei, ne promuove la destituzione da superiora della comunità approfit46 tando di un viaggio nella Catalogna, dove era stata chiamata da Butinyà per cercare di unire la comunità di Salamanca con altre case da lui fondate al suo ritorno dall’esilio. Nel giungere a Salamanca, Bonifacia obbedisce alla nuova superiora e si adatta con umiltà alla vita comunitaria come una suora qualsiasi. Umiliazioni, rifiuto, disprezzi e calunnie ricadono su di lei per farla andare via da Salamanca, poiché il direttore vuole spogliarla anche della sua condizione di fondatrice e orientatrice dell’Istituto. L’unica risposta di Bonifacia è il silenzio, l’umiltà e il perdono, senza nessuna rivendicazione o protesta. Ma non traballa e tanto meno si arrende, anzi si mantiene ferma.

Per risolvere il conflitto, propone al vescovo di Salamanca una nuova fondazione a Zamora. Il 25 luglio del 1883, accompagnata da sua madre, si reca verso questa città, dove è accolta e appoggiata dal vescovo, dal clero e dalla popolazione in generale che apprezzano e sostengono la sua opera, anche sul piano economico. E a Zamora Bonifacia compie fedelmente l’obiettivo primigenio della congregazione, raccogliendo giovani abbandonate e dando asilo a domestiche senza lavoro, che prepara per una vita degna dove poter incontrare Dio, lavorando cristianamente. È capace di creare tra tutte le lavoratrici rapporti umani di uguaglianza, di fraternità e di rispetto nel laboratorio. Bonifacia continua ad essere cordonaia, appartiene alla loro classe sociale, e si occupa con somma cura dell’educazione e dell’istruzione di queste giovani che devono guadagnarsi il pane con il sudore della fronte, servendo nelle case o lavorando nel laboratorio.

Nel frattempo, la casa madre di Salamanca, sotto la guida dei nuovi superiori ecclesiastici, opera modifiche sostanziali alle Costituzioni di padre Butinyà e cambia gli obiettivi della Congregazione, orientandola verso l’insegnamento. Si allontana totalmente da Bonifacia e dalla casa di Zamora, lasciandola sola e isolata, fino al punto che, quando il Papa nel 1901 concede l’approvazione pontificia della Congregazione, la comunità di Zamora ne rimane esclusa.

Nemmeno questo nuovo rifiuto la separa dalle sue figlie di Salamanca, a cui continua a voler bene e mai esce dalle sue labbra la minima lamentela.

Bonifacia Rodríguez de Castro è testimone di grandi valori evangelici:

- Vive il comandamento del Signore con totale generosità, facendo dell’amore fraterno il suo marchio di identità e dell’amore ai poveri la sua dedicazione prioritaria.

- Dio è per lei un padre provvidente e pieno di amore, in cui vive abbandonata “piena di fede e di fiducia”. Questa fede e fiducia in Dio la rendono forte e resistente nelle contrarietà.

- Perdona e dimentica le umiliazioni, le calunnie e le ingiustizie. Non la si sente mai pronunciare la minima lamentela, considerandosi sempre fortunata di poter imitare il silenzio del Signore e la sua carità nel perdonare coloro che lo crocifissero.

- Madre e maestra di altre donne lavoratrici, che sono “la pupilla dei suoi occhi”, dedica loro tutta la sua vita; infatti, per difendere la dignità della donna povera, senza lavoro, come vera missione dell’Istituto, soffre persecuzioni e rifiuti.

- Sa soffrire con la maturità di chi aspetta tutto da Dio, senza affliggersi né sconcertarsi, “sempre uguale, tranquilla e buona”, “preoccupandosi solo di essere gradita a Dio in tutte le cose”.

- Dopo la sua morte non ci lascia grandi opere, ma la sua vita di fedele sequela di Gesù, opera maestra dello Spirito in lei.

Muore a Zamora, l’8 agosto del 1905. Il 23 gennaio del 1907 la casa de Zamora si unisce al resto della Congregazione. Ma bisognerà aspettare fino al 1941 affinché Bonifacia sia riconosciuta fondatrice.

Il suo contributo specifico alla spiritualità della Chiesa è la sequela di Gesù negli anni di Nazaret, unendo preghiera e lavoro, nella semplicità della vita quotidiana.

“Unire preghiera e lavoro”, nucleo della sua spiritualità, è un’intuizione originale di Francisco Butinyà. Egli, da buon gesuita, cerca di attualizzare per il mondo del lavoro del XIX Secolo il “cercare e scoprire Dio in tutte le cose” di Sant’Ignazio.

L’aspetto centrale della missione di Bonifacia è quello di tendere alla prevenzione della donna lavoratrice povera in situazione di rischio, generando spazi di vita e di lavoro in cui la vita di Nazaret diventa un mezzo di evangelizzazione e di promozione che le permette di veder riconosciuta la propria dignità.

La missione di Bonifacia non è terminata: accanto a Dio, veglia per la dignità di tutte le lavoratrici del mondo.

In the last quarter of the 19th century Bonifacia Rodríguez de Castro initiated a new kind of spirituality, centered on harmonizing prayer with work in the simplicity of daily life, following Jesus, a worker in Nazareth, like anyone else.

She was born, the eldest of six siblings, in Salamanca (Spain) on the 6th of June, 1837. Her father was a tailor and her mother a housewife. After finishing her primary education she learned the skill of cord making with which she started to earn a living at the age of 15, upon the death of her father. First, she got employed. Having overcome economic difficulties, she established her own simple shop of cord making, passementerie and other handicraft, in which she worked with the greatest recollection possible.

The testimony of Bonifacia’s life called the attention of a group of young women, friends of hers, who expressed to her the desire to spend Sunday afternoons and holidays in her company to protect them from the dangerous pastime of the period. The house-shop of Bonifacia was thereby converted into an incipient center for protection of 19th century women workers. They dedicated part of the afternoon to friendly meetings, individually or as a group, with Bonifacia in whom they confided as if she were their spiritual teacher. They reserved the rest of the time for praying to Mary Immaculate and to St. Joseph, and so the shop was also a simple center for Marian-Josephine spirituality.

In 1870, a Jesuit Catalan, Francisco Butinyà y Hospital (Banyoles, Girona 1834-Tarragona 1899), having a great apostolic preoccupation for the evangelization of the world of work, was assigned to Salamanca. Bonifacia shared with him her faith experience and, through her, Butinyà came in contact with the young women who used to gather in her house, the majority of whom were manual workers like her. The Spirit inspired him to found a new congregation for women oriented towards the protection of women workers, starting with those women workers. Butinyà invited Bonifacia to found the Siervas de San Jose with him, to which she agreed with docility. On the 10th of January, 1874, Bonifacia, her mother and five other young women of the Josephine Association began their community life in Salamanca.

It was a novel project of feminine religious life, inserted in the world of work, illumined by the contemplation of the Holy Family, recreating in the houses of the Congregation the Shop of Nazareth. In it the Siervas de San Jose offered work to poor unemployed women, thus avoiding the risks that endangered their dignity as women when they go out to work outside the house. The religious neither wore habit nor contributed dowry, and they worked side by side with laywomen in the shop, having a common fund. This idea of religious life, at once risky and daring, soon began to be opposed by the diocesan clergy of Salamanca who did not grasp the evangelical depth of this form of life so close to the world of work.

Within three months of the foundation, the founder, Francisco Butinyà, had to leave Salamanca, never to return. The following year, the bishop also left Salamanca, having been transferred to the episcopal seat of Barcelona. Bonifacia was left alone at the head of the Congregation in an environment that was hostile to, and lacked understanding of, the new project considered by some as a “matter of fools”. Two of the directors of the Congregation appointed by the bishop to succeed Fr. Butinyà imprudently sowed division among the sisters, some of whom, supported by them, began to oppose the shop as a way of life and the sheltering of women workers in it.

In 1882, the director wanted to introduce changes in the apostolic end spelt out in the Constitutions by the founder, Francisco Butinyà, but Bonifacia, the foundress, did not consent. In order to get rid of her, he instigated her destitution as superior of the community taking advantage of a trip to Catalunya where she had been called by Butinyà to work on the union with the other communities founded by him on his return from exile. Upon her return to Salamanca, Bonifacia rendered obedience to the new superior and adapted herself with humility to the community life like anyone else. Humiliation, rejection, scorn and calumnies fell on her so as to make her leave Salamanca because the director wanted to strip her as well of her being the foundress and guide of the Institute. Bonifacia’s only response was silence, humility and pardon, offering no defense and raising no complaint. However, neither did she give up nor surrender, but remained firm instead.

To resolve the conflict, she proposed to the bishop of Salamanca a new foundation in Zamora. On the 25th of July, 1883 Bonifacia, accompanied by her mother, left for this city where she was welcomed and supported by the bishop, the clergy and the people in general, who valued and stood behind her work, even on the economic level. In Zamora Bonifacia fulfilled with total fidelity the original intent of the Congregation, gathering unprotected youth and sheltering unemployed domestic helpers whom she prepared for a life of dignified work in which they would encounter God as Christian workers. Fostering relationships of equality, charity and respect among those who live in the Shop, Bonifacia continued being a cordmaker, belonged to their social class and gave much attention to the education and instruction of these youth who, whether working as domestic helpers or working in the shop, had to earn their bread by the sweat of their brow.

Meanwhile, the motherhouse in Salamanca, under the guidance of the new ecclesiastical superiors brought to completion substantial modifications in the Constitutions of Fr. Butinyà and changed the purpose of the Congregation, directing it towards teaching. They totally abandoned Bonifacia and the house in Zamora, leaving her alone and isolated to the point that when the Pope, in 1901, granted the pontifical approbation of the Congregation, the community of Zamora was left excluded.

Not even this new rejection would separate her from her daughters in Salamanca whom she continued to love. Not a smallest word of complaint was ever heard from her.

Bonifacia Rodríguez de Castro is a witness to great gospel values:

- She lived the commandment of God with total generosity, making of sisterly love the seal of her identity and of love for the poor her primordial dedication.

- God was for her a loving Father who provides, in whom she abandoned herself “filled with faith and trust” all throughout her life. This faith and trust in God had made her strong and resilient in the face of contradictions.

- She forgave and overlooked humiliation, calumny and injustice. Never was she heard with the least complaint, considering herself blest to be able to imitate the silence of the Lord and his charity in forgiving those who crucified him.

- Mother and teacher of other women workers; they were the “apple of her eye”, laying down her entire life for them. It was in defense of the poor, unemployed women workers as the original mission of the Institute, that she suffered persecution and rejection.

- She knew how to suffer with the maturity of one who hoped all things in God, without getting distressed or disconcerted, “always balanced, serene and kind”, “she had no other concern but to please God in all things”.

- When she died she left no great works; she bequeathed to us a life of faithful following of Jesus, a masterpiece of the Spirit in her.

She died in Zamora on the 8th of August, 1905. On the 23rd of January, 1907 the house in Zamora was incorporated to the rest of the Congregation. But it was not until 1941 that Bonifacia was recognized as foundress.

Her specific contribution to the spirituality of the Church is the following of Jesus in his years spent in Nazareth, harmonizing prayer with work in the simplicity of daily life.

“To harmonize prayer and work”, which is the core of her spirituality, is an original intuition of Francisco Butinyà who, as a good Jesuit, tried to contemporize for the world of work of the 19th century the call to “seek and find God in all things” of St. Ignatius.

The central feature of the mission of Bonifacia aims at protecting the poor women workers at risk, creating spaces for life and work where the living out of Nazareth is converted into a means of evangelization and development where their dignity is recognized.

The mission of Bonifacia is not finished: in God she looks after the dignity of the women workers of the world.


BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO (1837-1905)  entame dans le dernier quart du XIXème siècle un nouveau chemin de spiritualité, qui a son centre dans l’union de la prière avec le travail dans la simplicité de la vie quotidienne, suivant Jésus, qui travaille à Nazareth comme tant d’autres travailleurs.

Elle est née à Salamanca (Espagne) le 6 juin 1837. Elle est l’aînée de six frères, son père était tailleur. A la fin de ses études primaires elle apprend le métier de passementière, et elle commence à gagner sa vie à 15 ans, après la mort de son père. D’abord elle travaillait pour d’autres. Une fois les difficultés économiques dépassées, elle ouvre son propre atelier de cordons, passementerie et d’autres ouvrages, très simple, où elle travaille avec le plus grand recueillement possible.

Le témoignage de vie de Bonifacia attire l’attention d’un groupe de jeunes filles, ses amies à elle, qui lui expriment leur souhait de passer avec elle les après-midi des dimanches et des jours fériés afin d’être libres des diversions dangereuses de leur époque. La maison-atelier de Bonifacia devient ainsi un germe d’un centre de prévention de la femme travailleuse du XIXème siècle. Un moment de l’après-midi est consacrée à des réunions amicales, en groupe et individuellement avec Bonifacia, c’est à elle qu’elles se confient comme à leur maîtresse d’esprit. Un autre moment est réservé à la prière, prier Marie Immaculée et saint Joseph, c’est pourquoi leur atelier est aussi un simple centre de spiritualité marial-joséphine.

En 1870 est affecté à Salamanca le jésuite catalan Francisco Butinyà y Hospital (Banyoles, Girona 1834-Tarragona 1899), il a une grande inquiétude apostolique pour l’évangélisation du mode du travail. Bonifacia partage avec lui son expérience de foi et, à travers elle, Butinyà entre en contact avec les jeunes filles qui se réunissaient dans sa maison, la plupart des travailleuses manuelles comme elle. Et l’Esprit lui suggère de fonder une nouvelle congrégation féminine, orientée à la prévention de la femme travailleuse, en se servant des ces mêmes femmes travailleuses-là. Butinyà invite Bonifacia à fonder avec lui les Servantes de saint Joseph, et elle y acquiesce docilement. Le 10 janvier 1874, Bonifacia et sa mère, ainsi que d’autres cinq jeunes filles de l’Association Joséphine, commencent à Salamanca la vie en communauté.

Il s’agissait d’un nouveau projet de vie religieuse féminine, insérée dans le monde du travail et à la lumière de la contemplation de la Sainte Famille, elles recréent dans les maisons de leur Congrégation l’Atelier de Nazareth. C’est là que les Servantes de saint Joseph offraient du travail aux femmes pauvres qui en manquaient, évitant ainsi les dangers que leur dignité de femmes encourait en travaillant hors du foyer, ce dont Bonifacia en avait l’expérience. Les religieuses ne portaient pas d’habit et travaillaient côte à côte avec des filles laïques dans l’atelier, elles avaient une caisse commune. Ce projet de vie religieuse, hardi et audacieux, va être combattu trop tôt par le clergé diocésain de Salamanca, qui n’arrive pas à capter le profondeur évangélique de cette forme de vie si proche du monde du travail.

Trois mois après la fondation, le fondateur, Francisco Butinyà, doit quitter Salamanca, et n’y reviendra plus. L’an suivant l’évêque abandonne aussi Salamanca lorsqu’il est muté au siège épiscopal de Barcelona. Bonifacia se retrouve donc toute seule à la tête de la Congrégation dans un milieu hostile et qui ne comprend pas le nouveau projet, que d’ailleurs quelques-uns traitent de «maison de fous». Deux des directeurs de la Congrégation, nommés par l’évêque pour succéder à père Butinyà, sèment imprudemment la division parmi les soeurs, alors quelques-unes, appuyées par eux, commencent à s’opposer à l’atelier en tant que forme de vie et aussi à y accueillir des femmes travailleuses.

En 1882 le directeur veut introduire des changements dans les fins apostoliques tracées dans les Constitutions par le fondateur Francisco Butinyà, mais Bonifacia, la fondatrice, n’y consent pas. Pour se débarrasser d’elle, il entame sa destitution, en tant que supérieure de la communauté, profitant d’un voyage à Catalogne, où elle s’était rendue appelée par Butinyà afin de procurer l’union avec les autres maisons fondées par lui dès son retour du bannissement. De retour à Salamanca, Bonifacia se soumet, obéit la nouvelle supérieure et s’adapte humblement à la vie communautaire comme n’importe quelle autre soeur. Les humiliations, le refus, les mépris et les calomnies tombent sur elle afin de la faire quitter Salamanca, car le directeur voulait aussi la dépouiller de sa condition de fondatrice et guide de l’Institut. La seule réponse de Bonifacia est le silence, l’humilité et le pardon, sans aucune revendication ni proteste. Mais elle ne se plie pas, ne cède pas, au contraire, reste ferme.

Afin de résoudre le conflit, elle propose à l’évêque de Salamanca une nouvelle fondation à Zamora. Le 25 juillet 1883, accompagnée de sa mère, elle quitté vers Zamora où elle est accueillie et appuyée par l’évêque, le clergé et la population en générale qui valorisent et soutiennent son oeuvre, même au niveau économique.

C’est à Zamora qu’elle accomplit en toute fidélité la fin primitive de la Congrégation, elle accueille les jeunes filles désemparées et loge les domestiques au chômage, elle les prépare pour une vie de travail digne où elles vont rencontrer Dieu en tant que travailleuses chrétiennes. Elle crée entre toutes celles qui restent à l’Atelier des relations humaines d’égalité, de fraternité et de respect. Bonifacia est toujours passementière, appartient à sa classe sociale, connaît bien les besoins et les risques qu’on peut rencontrer dans la vie de travail et met un soin extrême à éduquer et instruire ces jeunes filles qui, domestiques ou à l’atelier, doivent gagner leur pain à la sueur de leur front.

Au même temps, la maison mère de Salamanca, guidée par les nouveaux supérieurs ecclésiastiques, mène à terme des modifications essentielles dans les Constitutions du père Butinyà et change les fins de la Congrégation en l’orientant vers l’enseignement. On se détache totalement de Bonifacia et de la maison de Zamora, on la laisse seule et isolée, à tel point que, lorsque le pape accorde en 1901 l’approbation pontificale à la Congrégation, le communauté de Zamora en reste exclue.

Mais même ce nouveau refus n’est capable de le séparer de ses filles de Salamanca, elle continue de les aimer, jamais sortira de ses lèvres la moindre plainte.

Bonifacia Rodríguez de Castro est témoin de grandes valeurs évangéliques:

- Elle vit le commandement de Dieu avec toute générosité, faisant de l’amour fraternel le cachet de son identité et de l’amour pour les pauvres son plus grand dévouement.

- Dieu est pour elle un père tendre et provident, elle s’abandonne à lui «pleine de foi et de confiance» tout au long de sa vie. Cette foi et cette confiance en Dieu la rendent résistante et forte dans les contrariétés.

- Elle pardonne et oublie les humiliations, les calomnies et les injustices. Jamais on l’écoutera la plus petite plainte, elle est heureuse de pouvoir imiter le silence du Seigneur et sa charité en pardonnant ceux qui l’ont mis en croix.

- Mère et maîtresse d’autres femmes travailleuses, elles seront «les prunelles de ses yeux», elle leur donne sa vie entière puisqu’elle souffre les persécutions et les refus à cause de la défense de la dignité de la femme pauvre sans travail comme primitive mission de l’Institut.

- Elle connaît comment souffrir avec la maturité de celui qui attend tout de Dieu, sans se plaindre et sans se déconcerter, «toujours calme, tranquille, pleine de bonté», «elle ne se souciait que de plaire à Dieu en toute chose».

- A sa mort elle ne nous laisse pas de grands oeuvres, elle nous laisse sa vie de fidèle suite de Jésus, chef d’oeuvre de l’Esprit en elle.

Elle est décédée à Zamora le 8 août 1905. Le 23 janvier 1907 la maison de Zamora s’incorpore au reste de la Congrégation. Mais il faudra attendre 1941 pour que Bonifacia soit reconnue comme fondatrice.

Son apport spécifique à la spiritualité de l’Eglise est la suite de Jésus dans les années de Nazareth, en unissant la prière et le travail dans la simplicité de la vie quotidienne.

“Unir prière et travail”, noyau de son spiritualité, est une intuition originale de Francisco Butinyà qui, en tant que bon jésuite, cherche à rendre actuel pour le monde du travail du XIX siècle le “chercher et trouver Dieu en toute chose” de saint Ignace.

L’aspect central de la mission de Bonifacia est orienté vers la prévention de la femme travailleuse pauvre à risque, en générant des espaces de vie et de travail où vivre comme à Nazareth devient un moyen d’évangélisation et de promotion qui lui permet de voir sa dignité reconnue.

La mission de Bonifacia n’a pas pris fin: de Dieu elle veille pour la dignité de toutes les travailleuses du monde.







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